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Il momento in cui le luci in sala si spengono e la scena si apre al pubblico, è sempre necessario e magico. Necessario perché quel microsecondo dà l’avvio all’intero flusso scenico, al fiume in piena; magico per la natura stessa e l’unicità dell’azione teatrale. Tra il necessario e la magia risiede l’arte, la capacità di riuscire a mantenere sempre vivo il flusso delle emozioni. Carmelo Rifici (regista dello spettacolo e direttore della Scuola di Teatro del Piccolo Luca Ronconi) ci riesce pienamente. Un suono forte, dissonante e disconnesso, rompe il silenzio: colpi di mitraglia... ed ecco che un tram viene dilaniato. Come le case, come le vite durante la guerra. La scena di UOMINI E NO resta così: frammentata, lacerata; tutta la rappresentazione si svolge in questo luogo ferito. Il set metafisico di Paolo Di Benedetto e le luci evocative di Claudio De Pace contribuiscono a creare questo senso di dolore. Fedele ai principi della rappresentazione moderna, Rifici si allontana dal naturalismo per rendere

universale il messaggio, rompe il percorso dello sguardo tradizionale creando un luogo che diventa simbolo di una città, decondiziona lo sguardo per rendendolo attivo e partecipe al percorso di un tram, di un veicolo militare, di una bicicletta, lo spettatore diventa così testimone critico e dinamico; viaggiatore nella notte dell’umanità.  Il testo racconta le vicende di un gruppo di partigiani durante l’occupazione nazifascista di Milano. I protagonisti di UOMINI E NO (  romanzo scritto in clandestinità Vittorini nel 1944) sono giovani partigiani coinvolti, loro malgrado, nella tragedia della guerra civile, eppure nonostante gli eventi tragici c’è in loro una sorta di stupore. «I venticinquenni di oggi - si chiede Rifici - hanno quello stesso stupore? Volevo che recuperassero un elemento immaginifico, antico, scaturito da una realtà storica che dovrebbe ancora toccarci. Vittorini ci aiuta a riscoprire una sorta di meraviglia, nell’amore, nell’amicizia, nei rapporti umani, che apparteneva a un’epoca così complessa come la prima metà del Novecento ma oggi è inesorabilmente andata perduta». Il disegno poetico della regia diventa per questo anche un’opera educativa. Il testo è costruito come una serie di flash successivi sui personaggi del romanzo con elementi corali che richiamano la tragedia greca; lo sviluppo narrativo è affidato, in alcuni momenti, a quattro donne con un velo nero sul volto che raccontano la morte, l’orrore, una sequenza di immagini che fanno esplodere la temporalità. Il lavoro di Michele Santeramo cura con amore la relazione fra i diversi personaggi per rendere al meglio le stesse suggestioni delle pagine del libro; Santeramo ricorre ad elementi tipici della poesia dando luogo a suggestioni sonore: assonanza, ripetizioni di parole, silenzi, brusche interruzioni, enjambement narrativi che rendono pienamente il racconto di una città in guerra. In una scena volutamente antinaturalistica i costumi naturalistici di Margherita Baldoni e le musiche Zeno Gabaglio sottolineano la contraddizione eterna che ogni uomo porta con sé, il significato profondo del testo: il no che è in ognuno di noi, il buio, il male. Molti applausi per i giovani attori in grado di fronteggiare la storia e il romanzo: Giuseppe Aceto, Alessandro Bandini, Alfonso De Vreeese, Salvo Drago, Caterina Filograno, Yasmin Karam, Leda Kreider, Marta Malvestiti, Benedetto Patruno, Matteo Principi, Marco Risiglione, Elena Rivoltini, Livia Rossi, Martina Sammarco, Francesco Santagada, Sacha Trapletti, Annapaola Trevenzuoli. Da vedere, per comprendere il legame fra letteratura e vita, fra il teatro e la vita. Rifici, ancora una volta, ci regala una visione teatrale come funzione educativa dei singoli, come memoria collettiva, difesa della democrazia, senso di umanità, con le sue luci, con le sue ombre, con i suoi no.

Milano, Piccolo Teatro Studio Melato, dal 24 ottobre al 19 novembre 2017