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Debutto campano per il nuovo testo del drammaturgo siciliano Tino Caspanello: anche questa volta, dopo NIÑO, preferisce indossare i  panni di autore e di regista, per lasciare la scena ad uno dei suoi attori e amici, Francesco Biolchini. In effetti, la scelta sembra produrre un esito positivo, in quanto Biolchini riesce a mostra un’ottima prova d’attore, resa ardua dalla complessità interpretativa del testo firmato da Caspanello. L’evoluzione della scrittura del drammaturgo siciliano – autore che osserviamo da anni, tanto da poter quasi descriverne la “poetica” – sembra seguire, negli ultimi testi e spettacoli, un’attenzione maggiore al rallentamento. uellQuellQuella di Caspanello è, di solito, una scrittura frammentaria, in cui le frasi si ripetono, si riannodano, si spezzettano, dando un andamento altalenante al flusso drammaturgico, come se la tendenza narrativa fosse trattenuta da un “elastico” che non permette un processo evolutivo verso l’epilogo della storia. Questa scelta produce un’estensione delle pause, tra una battuta e l’altra, che diventa caratteristica fondamentale degli importanti silenzi contenuti nella scrittura del drammaturgo. Se NIÑO ha imposto un ulteriore

rallentamento, come ha dimostrato l’interpretazione di Cinzia Muscolino, con BLUES arriviamo ad osservare la metafora del silenzio in scena. La dilatazione degli spazi e del tempo è descritta attraverso una scena bloccata, perché statica, caratterizzata da una finestra, da un tavolo, una bottiglia, un bicchiere e un orologio; la lingua è italiana, scartando il dialetto, ma l’ambientazione è di memoria siciliana. Entroterra accaldato e polveroso in cui vive un uomo solo: la sua vita è scandita dagli orari dei treni che passano, ma non si fermano. La metafora del viaggio e del treno, come simbolo della vita e del futuro, è nota, ma qui Caspanello cerca di condurre l’attenzione dello spettatore sull’eccezione alla norma, ossia i colpi di scena, gli ostacoli, i cambiamenti di rotta. Se il treno si fermasse davanti alla casa solitaria dell’uomo solitario, cosa accadrebbe? Ed allora ecco che il testo si spoglia della sua copertura drammaturgica e mostra la sua indole musicale, accogliendo una caratterizzazione “blues” che, per sua natura, è irregolare, improvvisa, incoerente, e che spesso viola le regole e la norma. La dilatazione del tempo è angosciante, i rallentamenti recitativi sembrano eterni, ma lo spettatore si accorda, pian piano, al ritmo temporale dell’attore. Quest’ultimo, come già detto, è protagonista di un’ottima prova recitativa, facendo emerge l’attenzione su ogni singolo vocabolo, su ogni frase e su ogni micro-momento che Caspanello riporta nella sua scrittura. Quando l’eccezione alla regola, il colpo di scena, il cambiamento apparente, si palesano, tutto ciò che sembrava artificiosamente dilatato e arido si immerge nella poesia più delicata e dolorosa. L’attesa che perdura lungo una vita intera è necessaria affinché un solo, breve momento di cambiamento assuma un inestimabile valore. Quando il suono delle cicale si affievolisce e tutto il racconto sembra inserirsi in un’atmosfera ovattata, proprio in quel momento esso sembra prendere vita: una mano sul vetro, un sentimento nuovo, un’attenzione apparente, la polvere, il tempo, il silenzio. Quando l’uomo solitario incontra un’anima femminile, questa si ritrova al di là del vetro del vagone che si è fermato davanti alla sua casa, a causa di un’avaria al treno. La mano nel vetro combacia con quella della donna dall’altra parte. Caspanello non si lascia andare a stucchevoli commenti amorosi, ad ipotesi di un futuro con la donna sconosciuta, o all’illusione di un ritorno di quest’ultima. L’autore riporta in scena, invece, un’allegoria della vita contemporanea, collegandola ad un passato atavico e atemporale, in cui il ricordo dei padri è fondamentale per sopravvivere, mentre la speranza di un contatto con il mondo circostante è un’utopia. L’incomunicabilità rappresentata da un vetro di un vagone di un treno in avaria diventa favolistica immagine di una ricerca del nulla, in quanto l’uomo non ha mai cercato un contatto con altre persone, né ha mai sperato in un cambiamento della sua vita. La solitudine in cui è caduto, a cui è devoto, nella quale vive immerso da anni, è un destino che l’uomo accetta senza ribellarsi, seppur in attesa di un treno che si fermi per caso. L’accettazione inerme, dunque, sembra essere la vera protagonista di questa storia, ma vacilla nel momento in cui subentra l’eccezione alla norma e alla consuetudine. In realtà, l’uomo contemporaneo reagisce limitatamente alla sua condizione, ossia offrendo un bicchiere di acqua alla misteriosa donna, rendendosi conto, poi, che i treni non hanno finestrini, ma solo “vetrate”, a differenza di quelli di un tempo, o di quello che si fermò, anni prima, davanti alla stessa casa, secondo i racconti del padre. La reazione del pubblico dello spazio casertano – parliamo di OFFICINA TEATRO in cui lo spettacolo è andato in scena il 14 e 15 ottobre - è legata sicuramente ad una profonda immedesimazione, ad una condizione di condivisione di questa eterna solitudine nella quale siamo abituati a vivere, seppur circondati da moltissime persone. Il dibattito che si è svolto dopo lo spettacolo vede il pubblico immaginare il seguito di questa storia che, però, vive e dimostra la sua forza drammaturgica proprio nell’assenza di un finale, perché è strutturata sul concetto di eterno ritorno di una condizione di staticità mai risolta. Caspanello caratterizza, dunque, i suoi ultimi testi, attraverso un ampliamento del rallentamento e della dilatazione dei tempi, indicando, forse, un periodo della sua vita e della nostra. In attesa di verificare un’ulteriore evoluzione della sua scrittura, attendiamo il debutto napoletano di ’NTALLARIA.

OFFICINA TEATRO SAN LEUCIO
 CASERTA
14-15 ottobre 2017
Blues
Scritto e diretto da Tino Caspanello
Con Francesco Biolchini
Scena e Costumi Cinzia Muscolino
Produzione Teatro Pubblico Incanto