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Nel terzo dei tre travestimenti da lui ideati in apertura della stagione di Teatro Piemonte Europa, sorta di viaggio dal sapore sanguinettiano ‘dentro’ il potere della parola, Alberto Gozzi ci porta nel mondo controverso di Louis-Ferdinand Céline. Il testo cui la drammaturgia fa riferimento, “Colloqui con il Professor Y”, non è tra i più noti dello scrittore francese ma, nella efficace scomposizione scenica cui lo sottopone Gozzi, si rivela come una sorta di “indice” o addirittura di “nota a piè di pagina” di quella scrittura affresco che è l’opera letteraria nello sguardo esistenziale di Céline stesso. Emerge così una rapporto arte/vita del tutto paradossale, privo di ogni gerarchia e che scorre quasi su due rotte parallele, per cui la scrittura è impregnata della vita ma insieme la rigetta, se ne distacca quasi con una

smorfia proprio nel momento in cui, nella stilisticamente innovativa dissoluzione della trama sintattica, ne cattura l’emozione.
Del resto il viaggio è una delle metafore essenziali di Céline per il quale, in un individualismo quasi solipsistico ma illuminante, la vita stessa è solo un transito verso la morte (percepita come unica coerenza nella parabola umana) all’interno del quale il mondo non è che una ‘impressione’ fallace e priva di realtà.
Siamo negli anni cinquanta e l’emarginato Céline, Céline il (presunto) fascista, Céline il (presunto) antisemita, deve rimettersi in gioco, come suggerisce l’editore Gaston Gallimard, e per far questo niente di meglio, nel mondo ormai fagocitato da radio e televisione, di una bella intervista. Così Louis-Ferdinand non può che crearselo da solo l’interlocutore, un grottesco e fantomatico professor Y (è anche colonnello in onore dei trascorsi bellici del protagonista) su cui scaricare il suo distacco e la sua rabbiosa contrapposizione, una contrapposizione che è conseguentemente più estetica che esistenziale.
Apparentemente scombinata e sagacemente scombinatoria la drammaturgia assedia la scena e lo spettatore, cogliendolo spesso di sorpresa e costringendolo a mettere in discussione, nel momento successivo, ogni conclusione che si riteneva appena acquisita, seguendo quasi una precipitazione rotatoria che trasfigura ironicamente il reale.
Un testo che, dunque, sembra una farsa o un vaudeville (non mancano inseguimenti, poliziotti e comiche “minzioni”) ma che, invece, scava in profondità nella oscura miniera di un mondo letterario, solo di recente rivalutato, e che sa trasmettere con efficacia e coerenza gli esiti della sua esplorazione.
Un trittico questo di Alberto Gozzi che, da Fellini a Savinio fino a Céline, riesce in una operazione di riattivazione di senso e di interesse, verso mondi eterodossi, contrapposti e per questo dimenticati, in un contesto culturale come l’attuale che sembra l’esito del più profondo pessimismo celiniano, un contesto cioè in cui l’omologazione pervade ogni più piccolo angolo della nostra vita

In scena, per la regia dello stesso Alberto Gozzi, Gianluigi Pizzetti, nella maschera di Céline, ed Eleni Molos, lo scombinato professor Y, entrambi bravi.
Nel ridotto del teatro Astra di Torino dal 19 al 26 novembre.