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Quaranta sono i gradi della vodka e quaranta, sotto zero, sono i gradi a cui scende la temperatura nella provincia russa, dove due attori malandati – maltrattati da se stessi e dalla vita – stanno mettendo in scena uno spettacolo: il MACBETH di William Shakespeare.
Siamo negli anni Novanta del secolo scorso, subito dopo la Perestrojka: fallita miseramente, prima ancora che si capisse in cosa consistesse la “ricostruzione” che annunciava. I russi hanno vissuto solo la distruzione e la caduta del loro mondo, del loro pur stentato standard di vita. La ricostruzione non l’hanno mai vista, non certo in quel decennio. Ma l’aspettavano, e la aspettavano colmi di quella speranza quasi mistica, di un idealismo quasi ossessivo che è il tratto dell’anima russa.
Questo, volevo catturare.
E allora, negli anni Duemila, ho avuto modo lavorare alla messinscena di un mio testo a San Pietroburgo, dirigendo un attore di nome Sacha Ronis: alcolista, ex primattore bello e famoso, un tempo insignito della medaglia di “Attore popolare dell’Unione Sovietica” che non mancava di ricordare dopo ogni bevuta, con un guizzo di autentica dignità teatrale. La quale, in Russia, è importante: specie se attestata dal riconoscimento governativo. Durante le prove, tuttavia, Sacha mi raccontava come negli anni Novanta il teatro in cui lavorava – l’Alexandrinskij, se ben ricordo – lo pagasse con cento uova al mese. Salario proteico. Ed è da quel racconto che s’è originato il mio lavoro di creazione del dramma che state per leggere.
In seguito ho letto lo scrittore sovietico Aleksandr Valentinovič Vampilov, autore di 20 MINUTI CON UN ANGELO: testo non tradotto in Italia, ma talmente bello da colpirmi subito. Anche perché nel frattempo avevo in testa Samuel Beckett, soprattutto il suo FINALE DI PARTITA, e avevo notato che nei personaggi sovietici di Vampilov c’era qualcosa di assurdo e apocalittico esattamente come in quelli di Beckett, però con un sapore diverso: non algido, elegante e britannico bensì sporco, povero e ubriaco, alla russa. E poi c’era San Pietroburgo: il suo mondo teatrale e specialmente le persone che, giorno dopo giorno, iniziavo a capire e con le quali passavo notti estenuanti a bere, a parlare e ancora a parlare. Loro, d’altronde, sono davvero la società della conversazione: sempre bevendo, sempre in cucina, o con tè o con vodka o con entrambi. E spesso i racconti che venivano fuori sugli anni Novanta, riguardavano la criminalità che si era impadronita del vuoto rimasto in cui galleggiavano tutti.
Scrivendo quindi 40 GRADI, probabilmente la mia intenzione era quella di mettere insieme tutte queste sensazioni e scoperte che ho sopra evocato: quasi volessi fermarle in una specie di album fotografico o, comunque, fissarle in qualcosa che avrei potuto prendere e portarmi via. Perché sapevo che un giorno me ne sarei andato da quel posto: in cui bisognava stare, succhiandone il più avidamente possibile, e fuggire.
Andrea Maria Brunetti

Interpretato da Fabio Banfo, Luigi Guaineri e Roberto Testa, diretti dallo stesso autore, 40 GRADI è andato in scena per la prima volta al Teatro Libero di Milano il 5 ottobre 2017, (recensito su questo sito) per la produzione di Effetto Morgana. Una pièce con «momenti di forte tensione» – come ha scritto l’insigne slavista Fausto Malcovati su “Milano in scena” – che il drammaturgo e regista «costruisce sui suoi tre interpreti, davvero intensi, convincenti».

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Andrea Brunetti vive e lavora a Milano: città dove si è diplomato in Drammaturgia alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi e in Regia alla Scuola d’Arte e Mestieri del Teatro alla Scala. Nel 2006, ha vinto il Premio Flaiano per MALAMORE: testo messo in scena in Germania e al Teatro Lensoveta di San Pietroburgo, in Russia, laddove ne ha curato anche la regia. Nella metropoli baltica, inoltre, ha lavorato come pedagogo presso l’Accademia Nazionale di Teatro Drammatico. Tra gli spettacoli da lui scritti e diretti, lavorando in sodalizio con Fabio Banfo e Paolo Andreoni, si ricordano: NAPOLEONE; UBU ROI dalla commedia patafisica di Alfred Jarry; e FAUST dal dramma di Christopher Marlowe. Oltre a questi lavori, tuttavia, vanno menzionati quelli che ha dedicato a taluni grandi autori del Novecento come Samuel Beckett, dirigendo FINALE DI PARTITA e GIORNI FELICI; Bernard-Marie Koltès, da cui una sua messinscena di LOTTA DI NEGRO CONTRO CANI; e Albert Camus, di cui ha riscritto teatralmente il romanzo LO STRANIERO. Le sue rappresentazioni si sono tenute in molteplici teatri e festival italiani e stranieri mentre, negli anni, all’attività teatrale ha affiancato anche quella di regista pubblicitario. È autore dei romanzi NAGOTT, pubblicato presso l’editore Persico Europe di Cremona nel 1997, e L’AMORE MALE DETTO edito nel 2008 per i tipi romani del Gruppo Albatros Il Filo.