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Diretto da Sam Mendes, The Ferryman, il traghettatore, è l’ultimo lavoro di Jez Butterworth, autore di Jerusalem, Mojo, The River e coautore dell’ultimo Bond, Spectre. Ambientato nella contea nordirlandese di Armagh, The Ferryman richiama il periodo del secondo sciopero della fame dei detenuti reubblicani dell’IRA, criminalizzati dal governo britannico (famose le parole della Thatcher “A crime is a crime is a crime”). Nella grande cucina/sala da pranzo, Quinn Carney (William Houston) e la sua famiglia si preparano come da decenni a festeggiare il raccolto e l’arrivo dell’autunno. Sua moglie Mary (Catherine McCormack) appare di tanto in tanto, rinchiusa in se stessa e nella sua stanza da quando Caitlin (Sarah Greene) dieci anni prima fu accolta nella loro casa, a seguito della prematura scomparsa di suo marito Seamus, fratello di Quinn militante dell’IRA. La tanto attesa festa del raccolto viene interrotta dalla tragica notizia portata dal prete di famiglia Father Horrigan (Charles Dale) del ritrovamento del corpo di Seamus. La notizia apre vecchie ferite e alimenta i contrasti politici da cui Quinn cerca di distaccarsi da anni. Le cose peggiorano quando fa il suo ingresso Muldoon (Stuart Graham) un leader dell’ IRA che non vuole essere associato alla scomparsa di Seamus, in cui è palesemente coinvolto, e che per raggiungere il suo scopo non esita a ricattare Quinn minacciando di rendere pubblico il suo debole, corrisposto, per sua cognata Caitlin.  Il mondo della storia è meticolosamente costruito con ossessiva cura dei particolari scenici e una ricerca storica minuziosa in ogni aspetto della vicenda che trasuda tensione politica dell’epoca. La regia di Sam Mendes è decisamente dello stile appropriato per questo testo. Questa rappresentazione si impone di essere autentica fino all’ultimo dettaglio. Basti pensare che l’oca tradizionalmente immolata per celerbrare il raccolto è portata in scena viva, in braccio ad uno degli attori che la ritrova dopo una temporanea scomparsa. Un coniglietto fa capolino tra le mani del buon Tom Kettle (Ivan Kaye) l’inglese sempliciotto che da anni vive nella casa di Quinn. Addirittura c’è un sorridente bebé, l’ultimo arrivato in casa Carney, calmo e rilassato tra le braccia dell’attrice che interpreta una delle sue quattro sorelline maggiori. Una scelta registica che rende reale ogni cosa: il bebé, l’oca, il coniglio e di rimando anche i ribelli che fanno lo sciopero della fame, anche le bombe fatte esplodere nella provincia e soprattutto la frustrazione e il dolore di un’epoca storica che ha segnato le vite di tanti. L’autore è sapiente nell’ alternare momenti giocosi e ironici a cupi moniti sociali. Tuttavia non sfugge la costante tensione sottesa ad ogni dialogo. Magistrale l’idea del ponte di contatto tra il mondo reale e quello mitico attraverso il personaggio della vecchia zia Maggie Far Away (Maureen Beattie), dalla memoria flebile e lo spirito assente, che narra del Banshee, uno spirito di donna che nel folklore irlandese annuncia la morte di un membro della famiglia con strazianti lamenti. Ci si chiede se la vecchia zia sia davvero assente come sembra o sia invece piú che vigile e vegli sulla famiglia con la sua saggezza e i suoi viaggi immaginari in tempi passati di cui racconta alle nipoti avide delle sue storie. Tutti i personaggi hanno una funzione, la zia Pat (Dearbhla Molloy) aspra e sarcastica che cela un passato da attivista nell’IRA e un cuore spezzato dalla morte del suo unico amore perito in una ribellione. É lei a riportare sempre l’allegria della famiglia alla sciagura che affligge il popolo irlandese. É lei ad accendere la radio per ascoltare e schernire il discorso della Thatcher ed è lei ad annunciare la morte di Bobby Sand dopo sessantasei giorni di scioero della fame. I due figli meggiori di Quinn si scontrano con i quattro cugini della contea vicina, giunti per celebrare il raccolto ma anche per difendere le proprie idee politiche. Cosí anche le nuove generazioni ripetono o meno la storia dei loro padri. Uno spettacolo corale, una storia che coinvolge su piú livelli: quello delle dinamiche familiari, quello della lotta politica, della dignita’ personale, del mito e dela leggenda. E anche un omaggio a Uomini e Topi di Steinbeck attraverso il personaggio di Tom Kettle, il “fool” di un’onestá lacerante, che recita un’intera poesia a cena e chiede la mano di Caitlin quando è ufficiale che sia vedova. Questo gigante buono, un inglese accolto in una casa dell’Irlanda del nord, uno straniero e un nemico del tutto innocuo fino all’evento finale che innesca il climax sorprendente della storia e realizza la tragedia annunciata dal Banshee. Credevo che con Jerusalem, Jez Butterwort avesse rggiunto l’apice della carriera teatrale, ma quest’opera, con i suoi diciannove personaggi (piú bebé, oca e coniglio) è decisamente superiore.

The Ferryman, di Jez Butterworth, per la regia di Sam Mendes.
18 novembre 2017. Gielgud Theatre, Londra.
The Ferryman è andato in scena al Royal Court dal 24 aprile al 20 maggio 2017 prima di essere inserito nel cartellone del teatro del West End Gielgud in cui è rapprensentato fino a maggio 2018. Per maggiori informazioni: www.theferrymanplay.com