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Volutamente ambientato negli anni ’40, come sottolineano le note di regia indicate da Joele Anastasi, questo spettacolo/racconto preannuncia l’avvento della seconda guerra mondiale. In realtà non osserviamo uno spettacolo sulla guerra, il cui sentore si percepisce solo in fondo alla storia, né un racconto religioso. Il titolo, quindi, non inganni lo spettatore, in quanto si tratta di un sottile gioco di parole che identifica e caratterizza la protagonista ed il suo ruolo. Gioco, quindi, che di religioso ha ben poco e che in realtà è simbolo di “religiosità” atavica, che è cosa ben diversa: concepire con candore le fratture dell’animo delle persone che ci si pongono davanti, sembra essere il livello più profondo di questa lettura, camuffata da un “concepimento”, azione che risulta a favore ( ed a sfavore) di un’immacolata donna. Su una struttura narrativa semplice e su un gioco registico ritmato e sempre acceleratissimo, il nuovo spettacolo dei VUCCIRIA  TEATRO, vincitore di Teatri del Sacro V, va in

scena dal 12 al 17 dicembre, presso il Piccolo Bellini di Napoli. Sul palcoscenico ritroviamo lo stesso regista e autore, Joele Anastasi, nei panni di Donna Anna, maitresse del bordello del paese, oltre a Federica Carruba Toscano, nei panni di Concetta, insieme a Alessandro Lui, Enrico Sortino e Ivano Picciallo. Tutti gli attori maschili interpretano differenti personaggi, anche femminili, dividendo il palcoscenico con alcuni manichini da sarta e ricreando la folla e le “malelingue” del paese. Da un’idea di Federica Carruba Toscano, brava interprete che mescola carnalità prorompente e purezza infantile, fino all’exploit finale da monito apocalittico, l’intero racconto si articola attraverso una storia semplice, accarezzando il gusto del pubblico che, ormai è noto, apprezza fortemente una narrazione scenica che non riceva particolari scossoni o frammentazioni. Intreccio, dunque, lineare, forse anche troppo, molto vicino alla sceneggiatura televisiva e cinematografica, all’interno del quale, però, la volontà di far emergere il ruolo fondamentale di questa giovane pura e casta, nonostante il suo “mestiere”, viene a tratti relegata in un angolino. Particolare attenzione, infatti, sembra essere rivolta al rapporto tra il signorotto del paese e il giovane braccio destro del boss, protagonista assoluto, quest’ultimo, della fantomatica “immacolata concezione”. Attenti a non svelare alcuni elementi del racconto, ci soffermiamo, invece, sulla scelta di caratterizzare alcuni lunghi momenti dello spettacolo attraverso la reazione irosa del signorotto, “tradito” dall’innamoramento di Concetta per il giovanotto. Minacce, brusche reazioni, vendette: il pubblico viene catapultato in una Sicilia ante litteram che emerge, ahimè, ancora una volta, per una cultura retrograda, vendicativa e omertosa. Sarebbe opportuno, invece, soffermarsi sul concetto di “capra”, non a caso elemento legato al mondo classico, ma anche alla religiosità satanica: venduta dal padre, pastore al limite della sopravvivenza, in cambio di una capra gravida, Concetta osserva il mondo con gli occhi ingenui e divertiti di un agnello martire e puro. Trascinata completamente nuda, attraverso la platea, con una corda al collo e un campanaccio da bestiame, la ragazza viene pulita, rivestita e issata sul palcoscenico nel palcoscenico, ossia una sorta di baraccone da strada, ed esposta ai clienti. Martire e donna, immacolata e vergine, la sua vestizione è simbolo di sacrificio sull’altare della vita, Polissena d’altri tempi, Madonna profetica e profana. Il riferimento non è cristiano, ma appare molto più arcaico e profondo il rapporto con un mondo pastorale misterioso che si perde nella notte dei tempi. Nessuno toccherà mai Concetta – nome che gioca ancora una volta con il titolo – perché il bordello si rivelerà, invece, luogo di confessione. Dice bene Anastasi, quando afferma che in questo racconto emerge la totale sfiducia nel futuro e l’assenza di speranza: ancora una volta, tra le righe della nuova drammaturgia del Sud, seppur ancorata fortemente alla “sicurezza” del passato, appare il decadimento del concetto di famiglia, del rapporto duraturo, della speranza nel futuro, nonostante il monito finale e la nascita di una bambino appaiano come probabili elementi di continuità. Anche se la struttura narrativa e le lungaggini su alcune azioni rallentino fortemente lo scioglimento dell’evento e sembrino compiacere volutamente il pubblico, che si appassiona alle storie di amore e di vendetta, la regia è invece ritmicamente esasperata. La struggente colonna sonora accompagna tutto il racconto e la compagnia gioca sulle velocissime vestizioni e sulle svestizioni, sulle apparizioni e sulle sparizioni, sui micro palcoscenici e sulle micro sequenze che si alternano sul baraccone-giostra, posto al centro del palcoscenico, ricordando le compagnie girovaghe medievali e gli attori della Commedia dell’Arte. Ritroviamo momenti corali caratterizzati dal macchiettismo, dal ritmo serrato, dall’ironia e dal travestimento: il gioco attoriale e lo sfruttamento del corpo dell’attore si sovrappongono pesantemente alla struttura drammaturgica molto sottile, spesso eccessivamente semplicistica, e ad una recitazione, a tratti, seppur volutamente, eccessivamente naturalistica. La lingua utilizzata è prevalentemente quella siciliana, nelle varianti del catanese, messinese e palermitano, con la presenza anche del barese, accento utilizzato dall’intenso attore Ivano Picciallo per caratterizzare il personaggio del parroco. Emozionante il rapporto tra Concetta e Turi che  si intreccia attraverso la storia di Colapesce, qui non definibile come un vero e proprio “cunto”, bensì  come narrazione veloce nella variante messinese della leggenda. La figura di Concetta profuma di mandarini, le cui bucce sono divorate dagli attori/capre nudi, secondo l’antica usanza siciliana di insaporire il latte degli ovini e le relative produzioni casearie. Animali che insegnano la vita, uomini che la distruggono: la donna con bambino, di pittorica memoria, stavolta è sostituita da un uomo seduto con il neonato sul proscenio, mentre la Vergine del popolo ammonisce l’umanità. La “babba”, ossia l’ingenua, ha sedotto l’animo degli uomini con l’amore, ha compreso le piaghe nascoste del dolore umano. Non possiamo considerare questo racconto “a lieto fine”: l’umanità infranta, o in procinto di infrangersi nell’ennesima guerra, ha svelato la sua decadenza, anche in un microcosmo pastorale arcaico come quello in cui vivono Concetta e tutti gli altri protagonisti.

IMMACOLATA CONCEZIONE
Teatro Piccolo Bellini – Napoli
12-14 dicembre 2017
drammaturgia e regia  Joele Anastasi
con  Federica Carruba Toscano  Alessandro Lui  Enrico Sortino  Joele Anastasi  Ivano Picciallo
da un'idea di Federica Carruba Toscano
scene e costumi  Giulio Villaggio
light designer  Martin Palma
musica originale "scurannu agghiurnannu"  Davide Paciolla
testo musica originale   Federica Carruba Toscano
aiuto-Regia  Nathalie Cariolle
contributo drammaturgico Alessandro Lui
foto  Dalila Romeo
video e graphic designer Giuseppe Cardaci
scenotecnica  2C Arte
sculture cartapesta  Ilaria Sartini
effetti speciali  Midian Lab
organizzazione  Nicole Calligaris
ufficio Stampa  LeStaffette
distribuzione  369gradi
produzione  Progetto Goldstein
co-produzione  Vuccirìa Teatro
spettacolo vincitore di Teatri del Sacro V

Foto Dalila Romeo