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Digressione contingente, ma per questo non meno profonda e intelligente, sull’arte e sul teatro giocata sul doppio e sul contrasto che mescola linguaggi e sintassi, dal teatro alla performance e al video, ma conserva una coerenza di fondo che ne struttura e organizza la capacità di comunicazione e di giudizio. L’ossimoro è la figura retorica che consiste nell’accostare nella medesima espressione termini di significato opposto (la parola nella sua origine greca deriva dall’unione di “acuto” e di “stolto”), e questo spettacolo di Andrea Cosentino può definirsi “ossimorico” in senso pieno, se non addirittura etimologico, in quanto accosta e sfrega come fili elettrici modalità opposte di espressione estetica, cioè il teatro e la performance art di Marina Abramovic, dunque, a livello estetico, mette a confronto nel qui e ora della scena saggezza e follia, i termini che appunto la vanno a costituire. Così paradossalmente la critica ironica e tagliente alla Abramovic diventa occasione per rivisitarne e

sottolinearne i contenuti e gli stimoli, mentre l’auto-dissacrante rappresentazione del teatro che apre lo spettacolo, sembra trovare proprio nel rapporto con le arti performative una nuova e inaspettata ragion d’essere.
Rivisitando, senza nominarlo, il fool shakespeariano Cosentino tenta, a mio avviso, con questo suo spettacolo una sorta di indagine autoptica sull’espressività scenica, mescolando con efficacia una sorta di monologo auto-rappresentante con inflessioni biografiche ad una alienante descrizione di esperienze performative della Abramovic, efficacemente e grottescamente rivisitate in una sovrapposizioni di segni e simboli che sconcerta.
Il pubblico diventa così come uno specchio a ciascun lato del quale si collocano l’io del drammaturgo e l’altro della performer, e il video sullo sfondo ne è la rappresentazione concreta, e ambedue quello specchio attraversano, mescolandosi davanti a noi, fino addirittura a confondersi dentro di noi.
In effetti, ha scritto Foucault, “la follia diventa una forma relativa della ragione, o piuttosto follia e ragione entrano in una reazione eternamente reversibile che fa si che ogni follia ha la sua ragione che la giudica e la domina e ogni ragione la sua follia nella quale trova la sua verità derisoria.”
Sapere da quale parte dello specchio sia la follia e da quale la ragione diventa superfluo, anzi diventa erroneo, perché è nella relazione, appunto ossimorica, tra le due che la rappresentazione del mondo ed il giudizio dell’uomo trovano coerenza ed equilibrio.
Uno spettacolo intelligente che mette la maschera della commedia ad una esperienza di disvelamento di cui Marina Abramovic e la sua performer art è occasione ricca di rimandi e suggestioni.
Andrea Cosentino, solo nella scena allestita in una sala del Camec di La Spezia, è bravo ad usare l’intera tastiera della recitazione, dall’ironico al farsesco, dal grottesco al tragico, dalle coloriture autobiografiche alla secchezza del reportage, per una drammaturgia difficilmente inquadrabile in un genere, ma altrettanto difficilmente archiviabile come semplice divertissement.
Al Centro di Arte Moderna e Contemporanea di La Spezia il 12 gennaio per la stagione di Fuori Luogo, molto applaudita.