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La giovane e promettente compagnia messinese Santina Porcino è stata ospite alla Sala Roots di Catania, all’interno della rassegna "Underground rivers", organizzata da Teatro Argentum potabile, con l’attualissimo testo di teatro civile "Vina Fausa. In morte di Attilio Manca" di Simone Corso, per la regia di Michelangelo Maria Zanghì. La pièce si sviluppa in un atto unico di circa 60' e rientra nei canoni  del teatro di inchiesta, consentendo al pubblico di conoscere o di saperne di più sulla giovane figura di Attilio Manca, brillante urologo trentaquattrenne barcellonese morto misteriosamente a Viterbo nel 2004. Il lavoro mette in luce particolari, fatti, ipotesi, collegamenti e misteri di una vicenda chiusa troppo in fretta e dalle prime battute  ci si rende conto di come si sia entrati nella sfera del teatro di denuncia sociale, nel giornalismo d’inchiesta. Lo si capisce dai nomi dei personaggi come Bernardo Provenzano e del suo misterioso ed agghiacciante seguito sino ad arrivare al povero urologo barcellonese coinvolto nella tragica vicenda che la pièce racconta attraverso testimonianze, flash, ricostruzioni, momenti di vita, alternando il bene (la laurea, i momenti giovanili, la gioia per la

professione di medico di Manca) con il male (la sfrontatezza, la malvagità, la malattia e la filosofia mafiosa do "zu binnu", detto il trattore per la violenza con cui ammazzava i suoi nemici).
Rappresentazione, quella della compagnia Santina Porcino, dinamica, con una regia accurata, un impianto scenografico essenziale e con i tre interpreti (Francesco Natoli, Michelangelo Maria Zanghì e Simone Corso) che risvegliano curiosità, interesse, ma anche rabbia, per uno degli ennesimi casi di cronaca italiani dell’ultimo ventennio, avvolti dal mistero ed alla fine catalogato come suicidio.
Sulla scena l'autore Simone Corso, con Francesco Natoli e Michelangelo Maria Zanghì, riescono a ben rappresentare il mistero che avvolge la morte di Attilio Manca, partendo ed utilizzando il titolo "Vina Fausa", in dialetto Vena Falsa, riferendosi a quel rabdomante che seguendo le vibrazioni di una bacchetta forcuta, tenuta orizzontalmente con le mani per le due estremità, cerca un tesoro o una buona vena d'acqua. Ma se scavando trova solo sabbia e fango si deve fermare, deve farla essiccare quella vena, farla morire.
Da tale metafora si dipana l'intero lavoro che si compone come un vario mosaico con tanti pezzi che a poco a poco si ricompongono diradando le nebbie che avvolgono la fine del giovane medico di 34 anni, specializzato in urologia, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, trovato morto il 14 febbraio del 2004 nel suo appartamento di Viterbo, dove lavorava presso l’ospedale Belcolle, in una pozza di sangue, pestato e con due buchi di siringa sul braccio sinistro.
La regia di Michelangelo Maria Zanghì (in scena nei panni di Attilio Manca) è estremamente attenta ai particolari, ai gesti degli interpreti, da i giusti ritmi alla pièce, l'impianto scenografico essenziale e con pochi elementi scenici (un albero spoglio, una sedia, una bottiglia e due automobiline) è di Francesca Cannavò che si occupa anche dei costumi, mentre le musiche sono di Chiara Pollicita.  Apprezzati dal pubblico i due brani di Mina ("L’importante è finire" e “Un anno d’amore") ed il pezzo di Viola Valentino ("Comprami"), utilissimi a sottolineare la situazione che, in quel momento, i protagonisti stavano mettendo in risalto. Lo spettatore rivede in scena  il piccolo Attilio con la maschera da sub osservare i girini in una gebbia (vasca di raccolta) di campagna, il latitante Provenzano e le stragi di mafia, il giovane medico che scarta il suo regalo di laurea con gli amici, che vorrebbe vivere in un’oasi nel deserto o che, a Marsiglia, cura il boss Provenzano, sotto falsa identità, malato di prostata, diventando quindi testimone scomodo e che,  chiedendo spiegazioni ad un prete di Barcellona, viene invitato a non fare domande, a fare il dottore e non l’investigatore.
Lavoro, intelligente, ben assemblato, che illustra e mette assieme fatti, episodi, sospetti, dubbi, senza arrivare ad alcuna conclusione. Caso mai sarà lo spettatore, alla fine, a tirare le sue conclusioni su uno dei tanti misteri della nostra storia e che intreccia, mafia, Stato, servizi segreti e Chiesa, intersecando, sovrapponendo - sempre in modo attento e coerente - voci e personaggi, emozioni e paure, vittime e carnefici, innocenti e colpevoli.  Certamente non ci vuole tanto per capire che quella morte dell'urologo non fu né accidentale, né per overdose o per suicidio, ma dietro c’è l'ombra nera di Bernardo Provenzano, temuto capo mafioso (al comando dal 1993 fino al suo arresto avvenuto nel 2006) con un cancro alla prostata, che avendo saputo della bravura di Attilio Manca, il primo in Italia ad effettuare un intervento alla prostata in laparoscopia, lo contatta per farsi operare (in un ospedale di Marsiglia) e poi una volta incontratosi faccia a faccia decide di eliminarlo in quanto testimone scomodo, la classica "vina fausa".
Spettatori interessati e convinti dalla proposta ed alla fine applausi per l'autore ed interprete Simone Corso e per Francesco Natoli (nei panni del truce Provenzano) e Michelangelo Maria Zanghì (l'urologo Manca), abili a rappresentare una storia autentica, complicata ed ancora costellata di tanti dubbi e misteri.

“Vina Fausa. In morte di Attilio Manca” di Simone Corso
Con Francesco Natoli, Michelangelo Maria Zanghì, Simone Corso
Regia di Michelangelo Maria Zanghì
Costumi ed elementi scenici di Francesca Cannavò
Musiche di Chiara Pollicita
Assistente alla regia Caterina Sfravara
Produzione Compagnia Teatrale Santina Porcino
Rassegna Underground rivers - Teatro Argentum potabile
Sala Roots di Catania - 25 Febbraio 2018

Foto: Domenico Genovese