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È una riflessione sul senso e sul mistero della storia quella che Giuseppe Liotta, drammaturgo e regista, conduce nello spettacolo “Capricci del ‘900”, che ha debuttato il 13 aprile scorso, a Noto, sul palcoscenico del Teatro Comunale di “Tina Di Lorenzo”: in scena per la compagnia “Trame perdute” c’è Teresa Lorefice, a suonare dal vivo il chitarrista classico Sebastiano Moncata, che esegue musiche originali composte appositamente da Roberto Tagliamacco, mentre le voci fuori scena sono di Claudia Palermo, Aldo Sassi, Alessandro Tampieri. Una riflessione teatrale, con tutta la materiale concretezza e la tipicità che il teatro e, in generale, l’arte esigono. In scena una sola attrice ma due protagoniste, entrambe di nome Lucia: una saga familiare che copre quasi intero l’arco del ‘900, una nonna e una nipote, la vita dell’una che sfuma nella vita dell’altra e le storie, le presenze, i fantasmi di vite spezzate che si rincorrono, si affastellano, s’interrogano a distanza quasi a chiedere il senso

delle vite che, nel contesto della storia, hanno vissuto e tramandato. Una riflessione insieme pacata e spietata: pacata perché nulla sembra smuovere la protagonista (nonna e nipote, entrambe chiamate Lucia) da quella bella, dritta, dignitosa postura borghese che viene mantenuta con olimpica fermezza, anche quando infuria la tragica bufera della storia. La bufera di sciagure che ci attraversano, ci feriscono, portano via le persone che amiamo. Una riflessione spietata perché non c’è ferita, pubblica o privata, dolore, amarezza, ricordo, incubo, lutto, assenza, che questo racconto familiare decida di bypassare o di cui, al contrario, non annoti con esattezza il segno che ha lasciato nella carne viva dei protagonisti. Ecco il senso di questo spettacolo: la storia, quella grande (le due guerre mondiali, il fascismo, la rinascita, il sessantotto, in generale la contemporaneità incipiente), portata alla luce della consapevolezza, la storia vista dall’interno di vite comuni che ne sono state attraversate, anche indirettamente, e cambiate nel profondo. Lo spettacolo, al di là di qualche carenza strutturale (ad esempio l’incastrarsi non sempre efficace e convincente tra recitazione e voci fuori scena), porta il segno forte del suo autore, ovvero l’impronta di una cultura teatrale vastissima e profonda che, anche operativamente, si rivela in ogni minimo particolare (parola, gesto, musica, taglio di luce, oggetto, movimento)  mai casuale e sempre dotato di senso e di saggezza.