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Un appartamento a Roma, ma che sia Roma poco importa, un uomo e una donna si incontrano anzi si re-incontrano dopo vent'anni, lì convocati da una lettera di lei a lui, che quasi tutto aveva dimenticato, per mettere a confronto sotto la lente deformante ma limpidissima di un lontano e occasionale incontro erotico il senso di una intera vita, di due intere vite con un prima ma soprattutto un dopo divenuto loro malgrado condivisione. Drammaturgia giocata interamente su un dialogo stringente e assediante che man mano si trasforma in una sorta di interrogatorio/confessione attraverso il quale quell'evento, così materico e contingente, assume i tratti di una metafora universale che unifica e sovrappone nel desiderio e nell'angoscia che li pervade i due personaggi, quasi oltre la loro stessa vita. Due esseri umani finalmente, con le loro differenze inevitabili, con le loro sessualità talora convergenti ma spesso divergenti, che hanno tentato per tutta la loro vita di elaborare quella stessa

angoscia nelle maschere e nei luoghi comuni di genere che la società offriva loro, senza mai riuscirvi interamente. Maschere che creavano altre maschere, dall'intellettuale all'adolescente perso nella sua fluidità, dalla maschera della volgarità e della facilità sessuale che nasconde l'ansia di autenticità affettiva alla maschera delle rivendicazioni indotte, maschere però tutte incapaci di contenere e superare l'angoscia che li muove e che li ha mossi, fino a che si sono ritrovati nudi alla fine di quel percorso che paradossalmente li rende uguali oltre lo stesso genere.
È questa una narrazione di straordinaria modernità che supera l'agevole banalità della contrapposizione dei sessi per cercare di mostrare la radice comune e unificante di quella stessa contrapposizione.
Cosa resta dunque a questi due occasionali naufraghi in se stessi oltre l'appannato ricordo di quel furtivo scambio sessuale? Resta un esito inatteso, resta una figlia sofferente che circonda quell'angoscia insopprimibile e le dà finalmente un nome che è un grido lanciato nell'improvviso silenzio di una fine che non è una fine.
“Ho paura” dice Aristide, prima che si chiuda il sipario. “Io ce l'ho da vent'anni” risponde Mariella.
La drammaturgia prende corpo da un romanzo di qualche anno fa di Domenico Starnone, ma non è una sua riduzione quanto l'individuazione da parte dello stesso Domenico Starnone di un suo nucleo drammaturgicamente significativo e profondo che si costruisce e chiarisce nella relazione scenica dei due protagonisti.
Un esito efficace, di cui non si può non apprezzare una rara limpidezza di scrittura e la forza della sintassi rappresentativa, portato in scena con la giusta coerenza dal regista Andrea de Rosa e interpretato con molta bravura e profondità psicologica da Vanessa Scalera e Pier Giorgio Bellocchio.
Disegno audio Emanuele Pontecorvo, luci di Giulio Grappelli. Una produzione Cardellino Srl.
Alla sala Campana del Teatro della Tosse dal 10 al 13 Maggio. Merita attenzione.