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L’invito è arrivato inaspettato, sebbene le notizie di un interessante progetto drammaturgico e teatrale cominciavano a diffondersi da tempo: ci spostiamo a Reggio Calabria. Regione proficua dal punto di vista drammaturgico, la Calabria rientra tra i luoghi del Sud Italia costantemente osservati negli ultimi anni e apprezzati per la produzione di lavori teatrali, in italiano e in dialetto, che costituiscono alcune delle importanti tessere del grande e eterogeneo mosaico che caratterizza la nuova drammaturgia del meridione. Le porte del piccolissimo teatro della Girandola si aprono a giornalisti, critici teatrali e collaboratori, affinché sia utile l’apporto tecnico e critico di occhi esterni che possano analizzare, per la prima volta, un prodotto drammaturgico e scenico in procinto di partire per gli Stati Uniti d’America. Parliamo de IL FETIDO STAGNO, una scrittura di Santo Nicito, che ne è anche il regista, progetto che vede in scena l’attore e autore Lorenzo Praticò, insieme al

musicista Biagio Laponte. Sebbene sia stato definito un progetto, in realtà possiamo parlare di uno spettacolo ormai ben strutturato e costruito su solide basi drammaturgiche, la cui messa in scena evidenzia una particolare regia ed un originale utilizzo delle luci, quest’ultime ideate e disegnate da Simone Casile e funzionali non solo alla particolare ambientazione, ma soprattutto al racconto. IL FETIDO STAGNO nasce attraverso un particolare iter che ha permesso a questo spettacolo di essere scelto tra numerose proposte giunte al SAN DIEGO INTERNATIONAL FRINGE FESTIVAL, ottenendo un posto sulla scena del teatro americano GEOFFREY OFF BROADWAY, tra il 22 giugno e il 1 luglio.
IL FETIDO STAGNO. L’OSPEDALE PSICHIATRICO DI REGGIO CALABRIA E IL LIBRO BIANCO DEL VOLONTARIATO è un volumetto edito da AZ edizioni, a cura di Foti e Neri, ed è la fonte di ispirazione dell’intero spettacolo, da cui trae il titolo: una raccolta di documenti e di testimonianze dei volontari che hanno lavorato per anni all’interno del manicomio di Reggio Calabria. Le terribili condizioni igieniche e di vita di questi luoghi, dopo la Legge Basaglia, sono rivelate attraverso la scrittura indagatoria di alcuni giornalisti e la testimonianza di alcuni uomini. Uno di questi, Bruno Praticò, ex volontario dell’associazione “Alba Nuova”, presente durante la prova generale dello spettacolo, condivide con gli spettatori i propri terribili ricordi, ma soprattutto dimostra al pubblico una profonda commozione nel rivivere, attraverso la scena, la crudeltà di quei luoghi. È necessario, a questo punto, sottolineare che la drammaturgia firmata da Santo Nicito è assolutamente inedita, ossia ispirata al volume citato, ma arricchita attraverso un lungo lavoro di recupero di notizie e di documentazione, soprattutto giornalistica, fondamentali per spiegare alcuni riferimenti non solo al manicomio di Reggio Calabria, ma anche a quelli sparsi nel resto d’Italia. Ciò che emerge attraverso la visione dello spettacolo è la profonda poesia che riveste, come un involucro, la dolorosa esperienza di alcuni uomini. Si sottolinea costantemente, non solo durante il racconto scenico, ma anche durante il confronto conclusivo, che molti di questi pseudo-malati sono peggiorati o sono diventati infermi durante la degenza nel manicomio. Scrittura di denuncia, dunque, riportata attraverso un velo di malinconica poesia che trattiene il pubblico incollato alla scena. L’ambientazione ricorda una caverna, antro ancestrale che diventa metaforicamente la mente del malato. Si sceglie di utilizzare pochissimi oggetti di scena, soprattutto una branda arrugginita, simbolo del luogo in questione. Lo stesso regista afferma di aver cercato a lungo una branda che ricordasse la particolare condizione di questi malati, poiché  -  ricorda lo stesso Bruno Praticò - queste reti evidenziavano larghe macchie di ruggine proprio al centro, perché corrose dall’urina dei malati legati al letto. L’antro/caverna è collocato ad un livello inferiore rispetto alla vita reale: il sapiente gioco di luci, attraverso un portentoso utilizzo di tagli luministici su fondo oscuro, ci indica una immaginaria finestrella in alto, che illumina il povero malato nella sua prigione umida. Una goccia d’acqua batte il tempo e risuona nell’antro, gocciolando realmente da un tubo sopra la scena, diventando compagna di vita dello stesso protagonista. Emerge dall’oscurità, per mezzo di affiori di luce di memoria caravaggesca, il corpo dell’interprete: Lorenzo Praticò racconta le storie di diversi malati, attraverso voci e immagini che si sovrappongono, attraverso luoghi descritti, immaginati e fantasticati. La branda diventa, dunque, rete che impedisce di gettarsi dalle finestre, ponte levatoio di memoria medievale affinché il castello/manicomio venga espugnato per liberare i prigionieri, pedana di un confessionale, luogo di tortura, croce da martirio. L’abile utilizzo di questo oggetto costringe l’attore ad una performance intensa e faticosa, non solo dal punto di vista fisico, ma soprattutto psicologico: Lorenzo Praticò, infatti, trasforma il suo corpo possente in quello di un uomo rattrappito che non riesce a sopportare la luce, che intona parole biascicate, nenie provenienti dalle profondità dell’infanzia, preghiere lasciate in dono dai malati. Ogni singolo movimento dell’attore sembra essere stato pesato e studiato affinché l’interpretazione riesca a raggiungere un difficile equilibrio tra forte realismo, quasi grottesco, atmosfera onirica e profonda poesia. La scelta registica si sofferma su un lavoro soprattutto fisico, ma anche di parola, contenuto all’interno di una struttura scenica molto efficace, non solo per le luci e le ambientazioni, ma anche per le musiche. Si sceglie, infatti, di suonare dal vivo, collocando il musicista dietro ad un tendone posto sul fondo, producendo la colonna sonora dal vivo, durante ogni replica, evitando di ingombrare la scena con una presenza che vanificherebbe la costruzione immaginaria di uno spazio angusto e serrato, ma soprattutto isolato, come quello di una cella/caverna. Il tendone partecipa alla messinscena attraverso proiezioni di ombre dal retro che sdoppiano il personaggio creando un alter ego “oleografico” che esce e rientra nella sua mente. L’iter del racconto/performance sembra seguire dei piani oscillanti che alternano fasi piane e ripetitive ad esplosioni di ribellione e di dolore che toccano vette di elevatissima intensità. Il fortissimo contrasto, visivo ed emotivo, tra il malato legato al letto e sottoposto all’elettro shock, e la sua voce che si libra in una poesia della notte, in cui farfalle e falene si aggirano nella mente dell’uomo, descrivendo la sua vita e la volontà di viverla, appare come un piccolo capolavoro che emerge all’interno dello stesso spettacolo.
Il debutto a porte chiuse de IL FETIDO STAGNO si conclude con un proficuo confronto tra la compagnia, i volontari, i testimoni presenti tra il pubblico, i critici ed i giornalisti: emergono aneddoti, perplessità, proposte, conferme, ci si chiede se sia opportuno tradurre il testo in inglese o mantenere le sonorità della nostra lingua, così come l’accento calabrese dell’attore e qualche deviazione linguistica regionale. L’esito sembra essere positivo, nonostante il lavoro continui a proseguire incessantemente prima del debutto americano, ed evidenzia un ottimo equilibrio tra l’intensa e complessa interpretazione dell’attore, la solida regia e l’originale fusione tra musiche e luci, ponendosi un duplice obiettivo fondamentale, cioè quello artistico che, nello stesso tempo,
sostiene una denuncia storico-sociale molto forte.
 Foto di Marco Costantino


IL FETIDO STAGNO
TEATRO DELLA GIRANDOLA
REGGIO CALABRIA
20 MAGGIO 2018

IL FETIDO STAGNO
SAN DIEGO INTERNATIONAL FRINGE FESTIVAL (CALIFORNIA)
GEOFFREY OFF BROADWAY
22 GIUGNO – 1 LUGLIO 2018