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Mettere in scena oggi una commedia di Aristofane è un’operazione di grande difficoltà, un rebus che si distribuisce in almeno due versanti di senso: da un lato c’è il fortissimo ingaggio di questo autore con la politica ateniese sua contemporanea, un concreto schierarsi e un interloquire polemico che rende difficile ogni ripresa, difficile perché questo atteggiamento militante non si può né usarlo in quanto tale, né evitarlo del tutto; dall’altro lato c’è la sostanza culturale profonda delle opere di questo autore che si presentano come una specie di enciclopedia completa e ancora viva di tutto ciò che in teatro può esser detto “comico”. È una difficoltà di senso anzitutto, con la quale quest’anno, dal 29 giugno all’8 luglio, si è confrontato il regista Giampiero Solari, nel contesto della

Cinquantaquattresima stagione Inda diretta da Roberto Andò, con lo spettacolo “I Cavalieri” tratto dall’omonima commedia di Aristofane (del 424 a.C.), tradotta da Olimpia Imperio. In scena ci sono: Giovanni Esposito nel ruolo di Demostene, Sergio Mancinelli nel ruolo di Nicia, Francesco Pannofino nel ruolo del salsicciaio, Gigio Alberti nel ruolo di Paflafgone (Cleone), il Corifeo è Roy Paci, mentre Antonio Catania incarna il ruolo del Demos; il coro è realizzato, con bella energia, dai ragazzi e dalle ragazze del II e del II anno della Scuola di teatro dell’Inda. Le scene e le luci sono disegnate e realizzate da Angelo Linzalata, la coreografia è di Lara Guidetti, i costumi di Daniela Cernigliaro, le maschere del coro di Roberta Traversa, le musiche (divertenti, un po’ Balcani, un po’ banda di paese, un po’ circo) sono dello stesso Roy Paci. E forse occorre partire proprio dal coro per capire il senso di questo spettacolo, interrogarsi su quei cavalieri in costumi e maschere da borghesi primonovecenteschi, per capire il senso assoluto che Solari ha voluto dare a questo spettacoli: davvero il demos è sempre innocente? Davvero il popolo ha sempre ragione? Davvero nella sue scelte politiche e di governo punta sempre al meglio per tutti? O forse, come dice un vecchio ma infallibile adagio, “la moneta cattiva scaccia la moneta buona”? E infine è davvero inevitabile questo percorso? Se i protagonisti del dramma sembrano infatti belve fameliche sospese nella buffa e poetica atemporalità di un circo-teatro, col corifeo conduttore/domatore che guida con brio quella che sin dall’inizio chiama “cerimonia di trasformazione politica”, è l’allegra sfacciataggine, borghese e quasi “brechtiana”, dei coreuti a dar senso compiuto a questo lavoro: essi sconfessano tra le risate Paflagone/Cleone e – udite udite, qual novità! – al grido (attualissimo e, per la verità, un po’ stucchevole) di onestà onestà affidano l’intera “nave dello stato” agli artigli del salsicciaio: amministratore pessimo, ladro ben più rapace di chi lo ha preceduto, ingordo, rozzo ignorante a tutto tondo e, proprio per questo, ancora più adatto a governare in nome e per conto di quei grassi signori che, dall’attività di governo, pretendono che sia tolto qualsiasi empito cultuale, politico o morale. In generale, uno spettacolo senza particolari slanci ma concettualmente solido, chiaro nella sua tessitura formale e, se pur con qualche caduta del ritmo, gradevole e ben giocato da tutto l’ensemble degli attori.

I cavalieri di Aristofane.
Dal 29 giugno all’8 luglio 2018, Teatro Greco di Siracusa. 54 edizione del festival di teatro classico di Siracusa. Direttore artistico Roberto Andò, traduzione del testo greco di Olimpia Imperio. Regia di Giampiero Solari. In scena: Demostene, Giovanni Esposito; Nicia, Sergio Mancinelli; Salsicciaio, Francesco Pannofino ; Paflagone, Gigio Alberti; Corifeo, Roy Paci; Demo, Antonio Catania. Coro di Allievi dell’Accademia del dramma antico di Siracusa, II e III anno.

foto Maria Pia Ballarino