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“Antigone Power” del regista palermitano Giuseppe Massa e della sua compagnia Suttascupa è un lavoro interessante e fecondo: esito della partecipazione al bando ministeriale “Migrarti” e del laboratorio teatrale collegato, ha debuttato in prima nazionale a Palermo il 26 e il 28 luglio nella Sala Perriera del Cantieri culturali della Zisa. Si tratta di uno spettacolo potente per sonorità, gesti, colori, ritmi, colori, odori, corpi, parole colme di senso, lingue e dialetti che si affiancano, s’inseguono, si rispondono al di là dei significati; uno spettacolo che s’innesta perfettamente nel percorso creativo di questo regista che, sin dai suoi esordi, ha sviluppato un linguaggio e una visione del mondo sempre diretti, crudi, alla ricerca di una prospettiva umanamente autentica e profondamente politica. Un lavoro interessante e fecondo, si diceva: interessante perché testimonia una volta di più, qualora ve ne fosse bisogno, quanto la tragedia antica sia sempre in grado di contenere e

accogliere una quantità straordinaria e totalmente legittima di letture, interpretazioni, riscritture; fecondo perché trattasi di un teatro che non resta inerte di fronte alla realtà, ma la affronta ed esprime tutta la sua necessità politica, si schiera con chiarezza, prende il pubblico per il bavero e quasi gli intima di prender posizione. La riscrittura testuale del mito di Antigone (ovviamente anzitutto a partire dalla versione sofoclea) è della scrittrice e poetessa italo-somala Ubah Cristina Ali Farah ed è una riscrittura che, pur provando a mantenere la ricchezza poetica e polisemica del testo antico, possiede la qualità di ridiscutere profondamente e criticamente ogni singolo snodo del mito. È un lavoro essenziale se si vuole usare – come è giusto – il mito per capire la realtà e non si vuol restare accecati acriticamente dalla sua luce. In questo senso è da notare anche il lavoro di Margherita Ortolani qui in gioco come dramaturg, ovvero col compito di mettere in comunicazione testo scritto e idea dello spettacolo e di lavorare soprattutto alla reinvenzione dei cori sofoclei. Compito non facile: si tratta per entrambe queste artiste di apporti centrali che sembrano descrivere, non solo l’esigenza di Massa di lavorare in team, ma soprattutto di strutturare dialogicamente il cuore stesso del suo lavoro creativo. In scena ci sono Glory Arekekhuegbe, Mohamed Dani, Mamadou Oury Diallo, Paolo Di Piazza, Ilenia Di Simone, Fabrizio Ferracane, Marco Leone, Dawda Mballow, Ylenia Modica, Aurora Quattrocchi, Sonia Pennino, Kassie Sunday, Happiness Ugiagbe, Rosario Versaggio; attori professionisti e giovani partecipanti al laboratorio in un ensemble espressivamente potente e ben affiatato. Scene e costumi sono di Mela Dell' Erba, le musiche dal vivo sono di Doudou Diouf, Désiré Kudawoo e di Latina Caterina Sacco, le luci infine di Michele Ambrose. Polinice (Mohamed Dani) è il sud del mondo che affronta il deserto, la strada, il mare, che si riversa nelle nostre coste e raggiunge le nostre città; Polinice è un invasore, anche suo malgrado, e va lasciato in mare, va lasciato morire in mare, insepolto, rifiutato. Antigone (Glory Arekekhuegbe) e Ismene (Kassie Sunday) sono due ragazze nigeriane (bellissime nella loro semplicità espressiva) giunte chissà come in una città straniera, una città che è Tebe ed è Palermo, una città devastata dalla guerra, spaventata e confusa, che sa essere accogliente e insieme respingente: questa città le abbraccia ma poi si contraddice intimamente e le pretende buone, anonime e sottomesse, serve senza dignità. Antigone ama e perdona, senza mediazioni e con mortale radicalità; Ismene è più dialogante che vigliacca, ma ovviamente è il livello dello scontro che non consente mediazioni. Creonte (Fabrizio Ferracane, perfetto nel ruolo e capace di ogni sfumatura) è il politico che prova a ragionare, prova e riprova a mediare, sa che è il suo compito, ma perde rovinosamente, perde sé stesso innanzitutto, perde tutto (regno, figlio, moglie) nella ricerca di una mediazione che è impossibile e destinata a fallire perché collocata al di fuori della considerazione sacrale della umanità. Ecco la prima, e forse la più importante e decisiva, delle leggi non scritte: il rispetto assoluto e sacro per l’umanità in quanto tale. Una sacralità arcaica, tribale, primigenia di cui i nuovi arrivati hanno chiara consapevolezza e che è Tiresia a incarnare per primo, in tutta la sua inquietante ambiguità, a proclamare e a rammentare al re e a tutta la città (Aurora Quattrocchi è di straordinaria sicurezza nel realizzare la tessitura magica e beffarda di questo personaggio): profezia vana, perché né il re né la città sono ormai in grado di comprendere e sperimentare tale sacralità. Sacralità ancestrale che muove anche Euridice e Emone (Ilenia di Simone e Marco Leone).  Un rispetto sacro per l’umanità che si deve dare sempre e comunque certo, ma che si deve anche pretendere, rivendicare, esigere guardando dritto negli occhi chi te lo nega. Date queste premesse, la scena più densa e teatralmente interessante risulta dunque il dialogo/scontro radicalmente politico tra Creonte e Antigone: una scena in cui gran parte delle parole di Antigone sono assorbite dallo sguardo di questa giovane nigeriana, uno sguardo che non lascia scampo e che non cede né all’allettamento paterno/paternalistico né alla tensione seduttiva dell’uomo potente, appena accennata certo, ma già sufficientemente offensiva e infame perché sostanzialmente ricattatoria. Una scena che da sola apre grandi varchi di senso e illumina zona d’ombra riguardi al comportamento dei maschi occidentali rispetto alle ragazze africane che, ricattate, violentate, umiliate, abitano le nostre strade. Uno spettacolo da vedere insomma, con l’unico difetto, forse, di una presenza un po’ eccessiva di motivi, idee, spunti che, seppure pertinenti, rendono un po’ faticosa la comprensione del senso generale del lavoro: il ricco ed esibito plurilinguismo e la proiezione delle traduzioni in italiano (opportune ma forse si sarebbero dovute rendere in modo più visibile e plastico, quasi oggetti scenici), le musiche e le danze tribali, la forza tutta politica dei corpi e del selvaggio cibarsi in scena, il rapporto tra Tebe e Palermo, la presenza della morte in città, il rapporto tra sud e nord del mondo sbilanciato in direzione di un’Africa amata ma forse un po’ acriticamente mitizzata. Se con una parola sola, con una soltanto, si potesse descrivere il teatro di Massa, forse sarebbe giusto definirlo “generoso” e davvero non è poco perché, se al di fuori dal nostro privato, si vedono macerie politiche, umane e culturali in scena è doveroso che l’arte e il teatro su queste riflettano senza comode via di fuga e autogiustificazioni, senza fingere mediazioni, senza girarsi dall’altra parte.

Antigone Power
26 e 28 luglio, Sala Michele Perriera, Cantieri alla Zisa (Palermo).
Testo di Ubah Cristina Ali Farah, regia di Giuseppe Massa, drammaturgia di Giuseppe Massa e di Margherita Ortolani. Scene e costumi di Mela Dell' Erba, musiche dal vivo di Doudou Diouf, Désiré Kudawoo, LatinaCaterina Sacco, luci di Michele Ambrose.
In scena: Glory Arekekhuegbe, Mohamed Dani, Mamadou Oury Diallo, Paolo Di Piazza, Ilenia Di Simone, Fabrizio Ferracane, Marco Leone, Dawda Mballow, Ylenia Modica, Aurora Quattrocchi, Sonia Pennino, Kassie Sunday, Happiness Ugiagbe, Rosario Versaggio.
Elaborazioni sonore live di Giuseppe Rizzo, assistente alla regia Salvo Dolce, assistente alla produzione Elena Amato, coordinamento Salvo Massa, ufficio stampa Vincenza Di Vita.
Produzione: Sutta Scupa, Centro Astalli Palermo, ‘a Strummula, Corda Pazza, UN.I.S (Unione Ivoriani in Sicilia), Assessorato alla Cultura - Comune di Palermo. In collaborazione con Città Invisibili e il Dipartimento di scienze umanistiche dell’Università degli Studi di Palermo, DAMS con il sostegno dell’Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana. Progetto vincitore del bando “MigrArti spettacolo 2018” indetto dal MiBACT.
Crediti fotografici: Alessia Lo Bello.