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Un tuffo in un epoca fatta di sacrifici, di verità difficili da digerire, di situazioni e personaggi epici, come quelli disegnati da autori quali Giovanni Verga e Luigi Pirandello. Un salto in tutto questo lo fa lo spettatore assistendo, con emozione ed estrema attenzione, nella sala del Piccolo Teatro di Catania, in via Ciccaglione, allo spettacolo “Lo zolfo spento”, novità assoluta di Lina Maria Ugolini E nell’intrigante regia e progetto scenico di Gianni Salvo, con i costumi di Oriana Sessa, lo zolfo e le zolfare sono una ferita aperta per Verga e Pirandello che hanno intrecciato la loro scrittura al dramma delle miniere, punto di vista privilegiato sulla società del tempo. Ed il tema delle zolfare, dello sfruttamento, viene sviscerato nel testo crudo, emozionante di Lina Maria Ugolini, già apprezzato la scorsa estate a Bronte e Vizzini nell’ambito dell’Anno Verghiano e riproposto all’interno della stagione di prosa 2010-2011del Piccolo Teatro di Catania. La pièce porta in scena, nelle oscure cavità di una miniera di zolfo, tra i cunicoli sabbiosi, carusi e zolfatari, ovvero personaggi provenienti da novelle, romanzi e drammi dei due autori siciliani, Verga e Pirandello, oltre a figure non registrate nei dati dell’anagrafe delle lettere. Nella notte del 2 novembre, tradizionalmente dedicata ai morti, zi’ Scarda e Ciaula, sopravvissuti alla tragedia dello scoppio di una mina all’interno della zolfara, sono i testimoni di un coro di creature che tornano nel mondo dei vivi con l’urgenza di raccontarsi, per parlare del dramma di un popolo o di una sola persona. Ad uno ad uno sfilano nel buio della notte Cola, il picconiere, padrone di due picciriddi, Nando il galantuomo, che racconta “i fatti di Bronte”, in cui perse la vita ad opera di Lumiceddu, l’infocaturi e poi c’è anche Erminia da “Tigre Reale”, Mena e l’esule ‘Ntoni dei Malavoglia, l'anima dannata dello spilorcio Mazzarò, l'inquieta voluttà del giovane 'Ntoni Malavoglia, il mest0 riottosa i Rosso Malpelo. Lo spettacolo, intenso, in un solo atto, attraverso la visione della Ugolini racconta, quindi, di svariate presenze appartenenti alla miniera, alla dura legge di violenza e sfruttamento. E la vicenda sulla scena si conclude, tra gli applausi del pubblico, con una sorta di banchetto surreale, organizzato da Lumiceddu, il cosiddetto arditore che si occupava dell'accensione del fuoco e proprio nel convivio finale si evocano le anime dei morti, tra le quali c’è quella del piccolo Calicchio che ritrova così il padre 'Zi Scarda. In scena un cast corale, affiatato, guidato dallo ‘Zi Scarda di Emanuele Puglia, dal luciferino Lumiceddu di Rosario Minardi, dal Cola di Nicola Alberto Orofino, dal Ciaula di Antonio Lombardo, dal galantuomo Nando di Ezio Garfì  e continuando con ‘Ntoni di Davide Sbrogiò, con Mazzarò di Giuseppe Carbone e poi con il resto del cast formato da Tiziana Bellassai, Cinzia Finocchiaro, Anita Indigeno, Carmen Panarello, Alfio Zappalà, Michele Oliva. Le musiche originali, che contribuiscono alla riuscita dello spettacolo, così come la regia di Gianni Salvo, sono del maestro Pietro Cavalieri. “Lo spazio scenico, ovvero la vecchia zolfara, - ribadisce l’autrice Lina Maria Ugolini - serve a ricordare sia il passato dolente della nostra terra, sia uno dei motivi fondamentali della poetica verghiana, il peso fatale del nascente capitalismo sulle relazioni umane, un onere motivato da una logica spietata nella quale i rapporti sociali tra le classi conducono all’esclusione degli umili e dei diversi. In questo spazio ritroviamo i temi di tre profondi drammi umani: il dramma dei Vinti, il dramma del popolo siciliano, il dramma di un padre che ha perso il proprio figlio”.