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Dopo tanti, forse troppi, anni di assenza torna a Rovigo, città nascosta tra due fiumi nella provincia veneta, il Festival “Opera Prima” da sempre promosso e organizzato (la prima edizione è del 1994) dal Teatro del Lemming su stimolo e guida del suo fondatore Massimo Munaro. È questo un festival che, già dall'intenzione celata nel suo nome, presenta una particolarità coerentemente perseguita, a differenza di altre situazioni, quella cioè di guardare ai giovani artisti e ai loro esordi di creatività, proprio quando questa creatività, incerta come ogni cosa che nasce, ha bisogno di una sponda solida per maturare e produrre i frutti che promette. Da qui il sotto-titolo “generazioni” che caratterizza questa edizione del Festival, ad indicare non solo il passaggio tra una generazione teatrale e l'altra (ogni compagnia “storica” era chiamata da indicare un nome da invitare) ma soprattutto la capacità di fecondare nuove esperienze che questa relazione tra età e orizzonti diversi custodisce

dentro di sé.
In questa logica è conseguente la decisione di indire per i prossimi tre anni un bando di invito alla partecipazione aperto a giovani artisti italiani e stranieri.
Idee, dunque, e tanti spettacoli molto interessanti ma anche luoghi nascosti in un percorso di scoperta e riscoperta che riguarda singolarità e condivisioni radicate e percepite magari quando e dove meno te lo aspetti.
Infine questo ritorno rappresenta anche la riattivazione del rapporto tra il Teatro del Lemming e la sua città, la sua polis, una polis che sembra cominciare con difficoltà ad accorgersi fino in fondo del senso di quella presenza, in una comunità piccola che può aprirsi al mondo contemporaneo.
In un certo senso, con questo festival, il Lemming si ripropone anche come un dono alla sua città, aprendo luoghi magari sconosciuti e soprattutto cercando talenti che proprio lì, talora segretamente, hanno cominciato a mettere radici.
Il festival dunque si è sparso tra i luoghi più diversi della città e ha cominciato a diffondere un contagio, quella malattia che il teatro procura ed insieme cura.
L'evento si è sviluppato lungo quattro giorni, diamo conto di quanto visto nelle due giornate centrali, tra venerdì 14 e sabato 15 settembre.

BOCCA
Performance suggestiva per un solo spettatore chiamato a relazionarsi con l'organo che produce le parole, separato dal corpo e però capace, proprio attraverso le parole, di ritrovare una unità che è fisica ma anche concettuale ed estetica insieme, in grado cioè di incidere sulla stessa percezione di sé che lo spettatore matura in quei minuti di solitudine. Una ideazioni del gruppo Amantidi, influenzata certamente dalla lezione del Lemming, con Fabio Benetti, Andrea Buttazzi, Giulia Capraro, Kevin Receku, Matilde Rossato. Regia e drammaturgia di Fabio Benetti e Andrea Buttazzi.

SGHEMBO Danza Urbana
Occupare la città dando ordine estetico al caos della occasionalità e della casualità, è l'effetto di questa coreografia dei “Cantieri Culturali Creativi”, che proprio a Rovigo nasce nel 2013. Due danzatrici e due musicisti compaiono nelle piazze cittadine, con un tavolo appunto sghembo, e attraverso la musica ed il movimento coreutico creano e ripristinano un equilibrio perduto. Brave le ballerine e bravi i giovanissimi violino e violoncello. Con Romina Zangirolami, che cura anche il progetto e la coreografia, e Beatrice Pizzardo. Musiche dal vivo Luca Rettore e Elisa Lazzarin. Elementi scenici Luigi Gioli.

BETWEEN ME AND P.
Storia ed esperienza intima di una assenza, vissute attraverso il tentativo di ricostruire e riappropriarsi di una presenza che paradossalmente non è mai mancata. La presenza di un assenza, dunque, da ricostruire come una scultura a calco. La drammaturgia ci immerge in una esperienza personale e intima dalle molte suggestioni che sembrano articolare un approccio pluri-segnico e stratificato che va oltre la psicologia per aprirsi ad uno sguardo anche filosofico e metafisico sul mondo. La ricerca diventa così occasione per guardare attorno a sé e dentro a sé stessi, dentro ad una identità che si costruisce anch'essa come un calco in cui gli altri imprimono la loro orma. Drammaturgia multimediale, senza parola diretta in scena, che usa la scrittura come modello di comunicazione, come sul web, come per gran parte dei giovani nella contemporaneità, in un'ottica di ripristino di relazioni forse dimenticate ma pervicacemente registrate e accantonate. Opera dunque complessa e affascinante che colpisce per la profondità e per la capacità di padroneggiare la scena e che talora sconcerta per i bruschi passaggi di linguaggio ma che quasi reclama nel rapporto con lo spettatore una condivisione profonda. Di e con Filippo Michelangelo Ceredi, il cui approdo al teatro è l'esito di un percorso complesso che dalla filosofia transita per il cinema ed il web. Accompagnamento alla realizzazione Alessandro De Santis e Attilio Nicoli Cristiani, accompagnamento alla coregrafia Cinzia Delorenzi.

HEY, KITTY
Drammaturgia coreutica a due piani contrapposti e contemporanei che dissociano l'azione scenica tra danza e film, in una contrapposizione di tempi e linguaggi che sembra aprire spiragli che sprofondano nella storia e nell'intimità. Ispirata al Diario di Anna Frank  e ad una poesia anonima di una ragazzina di dodici anni, racconta della solitudine e dell'attesa, solitudine ed attesa che sembrano accompagnare il sopraggiungere della morte. Ma solitudine ed attesa non possono uccidere la vitalità nascosta nello sguardo artistico sul mondo, che sottrae, preserva e trasmette. Così la bimba danzatrice può alla fine recuperare, sul cumulo di scarpe abbandonate come in lager, i suoi stivaletti e con quelli rimettersi lei a danzare e noi a sperare. Con Rima Pipoyan, giovane artista armena di grande qualità, che ha curato anche l'ideazione, la coreografia, il libretto e la regia. Il film che scorre sulla scena è diretto da Davit Grigoryan, mentre le musiche originali sono Anna Segal. Selezionato nel bando “Opera Prima”.

LA CHIAVE DELL'ASCENSORE
Tratta da un testo di Agota Kristof, è questa una drammaturgia di grandissima intensità, e anche di notevole attualità, che è in grado, oltre la cronaca, di penetrare recessi oscuri che sono del nostro tempo ma che si riflettono nella profondità dell'essenza umana. Capace cioè di mostrare l'essenza di una relazione e le modalità tragiche in cui questa man mano si perverte, in un gioco del sacrificio e della morte, in una morte senza capro espiatorio. Giocato da Frabrizio Arcuri su iniziali sintassi e tonalità di fiaba si ribalta così, per la forza dell'orrore che man mano ci prende, nelle tonalità di una tragedia greca senza riscatto. Una storia di femminicidio riletta sullo sfondo di una umanità sospesa tra passato e presente. La chiave dell'ascensore è dunque il segno della separatezza e della perdita di questa donna reclusa e man mano mutilata nel fisico e nello spirito, che diventa così espressione metafisica di uno stato di sottomissione che sembra travalicare la nostra stessa comprensione. Fino al finale sacrificio che però forse è anche una ultima e intima ribellione. Drammaturgia perturbante che una sorta di schermo separa dal pubblico, quasi a difenderlo dal suo stesso precipitare angoscioso, e che vede in scena la bravissima Anna Paola Vellaccio  che padroneggia le tonalità contrastanti della bella messa in scena. Regia e allestimento di Fabrizio Arcuri. Una produzione Accademia degli Artefatti/Florian Metateatro.

NO FRAME PORTRAIT
Dura pochi minuti questa affascinante performance per uno spettatore, eppure è in grado di permanere a lungo, capace cioè di lasciare un segno concreto e stabile, di quella concretezza e stabilità che solo l'arte è in grado di dare. Uno spettatore spettatore alla volta è invitato per un ritratto, ma è un ritratto musicale e così si siede perplesso e silenzioso di fronte al musicista ritrattista che lo circonda di note. Queste però diventano subito e sono le nostre note e in queste, in un legame improvviso ma affettivo e profondo, paradossalmente ci riconosciamo, ci ritroviamo. Portiamo così con noi una scoperta che forse non siamo in grado di trasformare in parole ma che ci illumina e accompagna. Dodicianni che è protagonista della performance ideata assieme ad Alessandro Cavestro è un musicista di talento con all'attivo due album. Nel 2013 ha iniziato un percorso performativo che ha prodotto questo intenso spettacolo, assai più complesso e completo di quanto si possa immaginare. Alla fine il  ritratto  verrà recapitato a ogni partecipante a casa via mail.

ABU SOTTO IL MARE
Il teatro di narrazione ha subito molte trasformazioni negli ultimi tempi, anche grazie a drammaturgie come questa di Pietro Piva, che sanno trasformare il racconto in azione scenica, attivandone dimensioni e profondità prospettiche che la multimedialità e i linguaggi soprapposti enfatizzano dal punto di vista rappresentativo. Così l'evento, anche quando è ispirato ad un fatto di cronaca, diventa l'oggetto e il soggetto di una ricerca e di una trasformazione che ne svela i contenuti profondi ed il senso che tali contenuti possono rappresentare per noi. Pertanto si riesce a parlare di un evento molto stringente come le migrazioni, superando la contingenza per incontrare dinamiche che da sempre ci appartengono. Abu infatti è un bambino reale,contrabbandato dentro una valigia tra Marocco e Spagna per raggiungere il padre, ma scoperto alla frontiera. La drammaturgia però non ci racconta questo, se non come contesto, si immagina invece cosa Abu abbia pensato e provato in quel viaggio chiuso nella valigia. Così immaginando costruisce una atmosfera sospesa tra dramma e favola che ha come protagonista il mare e questa piccola anima solitaria, mentre il mondo tutto attorno è solo uno spettatore man mano coinvolto e trascinato nello stupore e nell'ingenuità. È una drammaturgia molto ben scritta che ha nella parola la sua forza trascinante ma che sa abbinare diverse sintassi ed è carica di suggestioni e segnali linguistici. Pietro Piva che, oltre che drammaturgo e regista, ne è anche l'interprete, sa utilizzare poi una intera tavolozza di colori vocali e impone una presenza scenica già matura nel gesto e nella mimica. Le musiche sono di Paolo Falasca. Menzione Speciale a Premio Scenario Ustica 2017 è uno spettacolo segnalato da Roberto Latini.

IL CANTICO DEI CANTICI
Roberto Latini ci ha spesso sorpreso con performance emozionanti e trascinanti, ma, devo dire, non ci ha ancora abituato. Al festival, nella sezione generazioni, ha presentato questa sua elaborazione drammaturgica del biblico Cantico dei Cantici, universalmente noto per la forza delle tonalità fortemente erotiche dei suoi versi. Ma nelle sue mani non è o resta una sola lettura di versi, diventa invece una specie di sonda per penetrare intimità, non solo psicologiche e singolari, ma anche paradossalmente condivise nell'essenzialità dell'uomo, intimità e misteri che solo in quelle parole sembrano potere trovare espressione. Latini usa il contrasto per portarci in quelle intimità e in quei misteri. La scena diventa così una sorta di sala di registrazione e l'amante biblico un DJ rinchiuso nella nevrosi della sua musicale solitudine. Può così, in quelle parole, attivare la sua guerra di liberazione per sottrarsi a quella solitudine e recuperare, nell'amore, un contatto, il contatto con il reale. Contrasto dunque tra testo e suo protagonista, e contrasto tra le musiche ossessive del suo mondo e le improvvise aperture melodiche che ne accompagnano il percorso. Latini riesce dunque a trasfigurare un testo già bellissimo, aggiungendo bellezza nella sua messa in scena e confermandosi drammaturgo di valore e attore dalla grande personalità. Una produzione Fortebraccio Teatro, di e con Roberto Latini. Musiche e suoni Gianluca Misiti, luci e tecnica Max Mugnai.
Nel pomeriggio lo stesso Roberto Latini nel suggestivo ambito dei Giardini Due Torri aveva letto alcune poesie di Mariangela Gualtieri, arricchendole della sua mediazione vocale.

Per chiudere è stato, almeno nella parte che ho condiviso, un Festival caratterizzato da scelte felici, sia nell'ottica che le ha ispirate che nei risultati che hanno prodotto.
Un festival che ha recuperato il filo rosso di una drammaturgia di parola che ha saputo rinnovarsi nelle sintassi, a partire dall'utilizzo di tecniche multimediali che nel web hanno trovato il loro principale contesto, ma che nel 'vecchio teatro' hanno dato e ricevuto nuove capacità e potenzialità significative. Non solo ma anche la traslazione in scena di tecniche performative, che si è vista in questo festival, è sembrata in grado di arricchire il nostro panorama teatrale, agevolando la percezione di quelle nuove realtà che stanno crescendo anche intorno al teatro che per ora nonostante le proposte di chiamarlo in altro modo continueremo a definire  di ricerca.
Merito del Teatro del Lemming che con grande generosità e sforzo organizzativo ha permesso che questo evento si realizzasse.