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Marina, così come i suoi colleghi di compagnia, guidati da Luca, strettissimo osservante del pensiero e delle metodiche stanislavskijani, si era dedicata alla “memoria emotiva” con tutto il suo impegno, e per ciascun personaggio che avrebbe dovuto portare sulla scena. Esperienze di vita, immaginazioni, fantasie, letture, film, tutto, secondo i dettami del grande Maestro russo, veniva da lei assunto come mezzo per attivare il più possibile la memoria emotiva. E, inevitabilmente, tale processo spesso assumeva per lei una sorta di autoanalisi psicologica ed esistenziale, che spesso la portava al di fuori del contesto del lavoro teatrale per sprofondarla nei molteplici e labirintici sentieri della vita-vita. E ad ogni personaggio affrontato, nel risvegliare così ogni ricordo, ogni carattere del suo imprinting personale formatosi lungo i suoi anni infantili, adolescenziali e quelli della giovinezza e prima maturità, tante erano le riscoperte, e le sorprese nel rivivere, partendo dagli stati più incistati delle emozioni, tanti e tanti episodi, che ora, al presente, assumevano fluorescenze sentimentali e significati affettivi molto più intensi. Accadeva, così, che spesso Marina si trovasse in una dimensione  simile a una terra di nessuno: non del tutto immersa nella reviviscenza di un personaggio, e non del tutto nel flusso delle sua personale esistenza, avulsa da esigenze sceniche e di finzione.
In particolare grande impressione le derivò quando Luca decise di affidarle il personaggio di Filumena Marturano, protagonista dell’omonima commedia di Eduardo De Filippo. Un’impresa difficile da affrontare per ogni attrice, ancor di più se il  metodo interpretativo segue le linee di Stanislavskij, e in particolare la fase della memoria emotiva.
Il nodo vero per Marina è immedesimarsi nel carattere di una giovane prostituta napoletana, anni Venti-Trenta, poi donna matura e poi quasi anziana, riattivando sue memorie emotive, di lei che senza meno non è stata mai toccata nemmeno dall’idea di “fare la vita” nella strada o in casa! Figurarsi! Figlia unica in una famiglia della media borghesia lombarda, di educazione cattolica, con genitori molto istruiti! Studiosissima lei stessa, riuscita a laurearsi in Lingue e letterature straniere pur di non deludere i genitori e poter così convincerli che avrebbe intrapreso la carriera di attrice.
Marina pensa ora fra sé e sé che deve innanzitutto riportare alla mente tutte le volte che eventuali suoi atteggiamenti potrebbero tutt’ora essere assimilabili a un comportamento in qualche modo prostitutivo.
E subito le sovviene un ricordo dell’infanzia, quando per evitare che un compagnuccio a scuola spifferasse ad una maestra che lei aveva sottratto dalla lavagna tutti i gessetti disponibili, gli promise un bacetto sulle labbra e un bel pezzo di pizza rossa davvero invitante. Il ragazzino accettò impegnandosi a mantenere il segreto. E pretese che, appena usciti dalla scuola, in un angoletto nascosto, Marina gli concedesse il bacetto. E così avvenne. Ora Marina cerca di ricostruire sul piano emotivo il turbine di stati d’animo e sensazioni che in quell’occasione in qualche modo la toccarono. Innanzi tutto ricorda un dato sensoriale imperniato sull’elemento saliva, con connotati del tipo: liquidità, sapidità, sensazione di rigetto. E da subito crede proprio che queste appercezioni possono essere le stesse durante un rapporto orale come prestazione richiesta a una prostituta. Prova anche a ripercepire una sensazione di schifo immaginandosi con grande concentrazione di sorbire qualche cucchiaio di panna  avariata. E riflette a quante donne negli anni in  cui Eduardo ha collocato la vicenda di Filumena, avranno provato una simile repulsione del tutto fisica. Pensa anche ai suoi rapporti col compagno Massimo, ma capisce che sposterebbe le sue riflessioni su un altro piano, quello di un’etica sessuale che concerne qualsiasi persona. Mentre lei deve fare in modo di attivare una qualche memoria che possa avvicinarla all’attività, alla mentalità, ai comportamenti di una prostituta napoletana anni Trenta.
“Napoli, Napoli, Napoli” dice Marina a se stessa.
“Ma certo, a Napoli ho avuto un’esperienza poco piacevole, un po’ tanto da stronzetta. Tipica dell’ambiente dello spettacolo, ma non per questo da approvare senza alcun dubbio, senza alcun rimorso. Già!... è stato quando al produttore teatrale e cinematografico G. T., pur di ottenere o sperare di ottenere una scrittura, ho imbastito un discorso con alcune implicite profferte sessuali. Sai, gli dicevo, tu mi piaci sotto ogni punto di vista, capisci? E lui, “mi fa piacere, cara, molto piacere”. Ed io:” Naturalmente quanto ti dico non ha nulla a che fare col nostro lavoro, eh!?, ci mancherebbe.”.  Già, già, mi ricordo che eravamo a cena, zona magnifica di Posillipo, panoramica, anche se a me importava poco del panorama, in quei momenti. Certo, come ad una prostituta, la cui attenzione, e il cui anelito è solo ed esclusivamente economico, figurarsi se poi è quasi nella miseria, ed ha dei figli da mantenere praticamente come clandestini. In compagnia del cliente non credo che nessuna puttana si guardi attorno ammirando il panorama, con alle calcagna magari il protettore! E no, non può essere, così come quella sera a Posillipo io stessa ero impegnata a giocarmi una partita molto delicata. Infatti, avevo prima parlato con Carlo, un mio carissimo compagno fin dagli anni dell’infanzia. E il suo consiglio fu di tenere G. T. alla corda il più possibile, strappandogli una qualche promessa di lavoro, per poi, al momento di fissare un fatidico appuntamento, confessargli di essere rimasta incinta, con tutto lo sconvolgimento che ne seguiva. Sia chiaro, l’enorme differenza fra me ed una prostituta si poneva dal momento che io non avevo assolutamente l’intenzione di andare a letto con quel produttore, ma l’anelito, il voler ottenere un qualcosa era il medesimo sul piano psicologico della intenzione, della volizione. Per me si trattava certo di recitare fino alla rivelazione della finta gravidanza, si trattava, insomma, di una radicale differenza. Ma fino a un certo punto in effetti, perché in un primo momento ebbi il timore di un disinteresse da parte dell’uomo, come una donna di strada teme che il possibile cliente se la squagli perdendo il guadagno e magari sopportando le ingiurie, se non peggio, del suo protettore. In effetti, più volte, e questo me lo ricordo benissimo, G. T. durante la cena a lume di candela, mi parve come assente, o distratto; in quegli attimi il mio stato d’animo totale che m’investiva come un ciclone era la delusione, un senso di vuoto, e di sconfitta, non c’erano, almeno direttamente in ballo dei soldi, ma c’era la possibilità di un lavoro, come per Filumena, per la quale al fondo e dopo tutto, era in ballo  il tanto sospirato matrimonio con Domenico.
Si, certo, nella ricostruzione di quel mio episodio di vita, due sentimenti ancora rivivono in me: il timore di non portare avanti tutta la messa in scena, e la delusione di un eventuale fallimento.
Penso di aver fatto così un passo avanti nel mio lavoro di attivazione della memoria emotiva. E credo che occorra ancora, per avvicinarmi alla costruzione di una convincente Filumena Marturano, lavorare sodo per tradurre sul piano emotivo quanto può aver agito in una persona simile alla protagonista eduardiana la cosiddetta pressione sociale. Già, d’altra parte chi non soffre di tale pressione, che può provenire dalla cellula sociale della famiglia, della cerchia degli amici, dai conoscenti del palazzo, del quartiere, e così via per chi ha una “certa” fama. Infatti, io credo che Filumena, oltre a voler dare una famiglia e un nome ufficiali ai suoi tre figli, ci tiene al riscatto sociale, visto, poi, che nella commedia man mano i soldi non hanno più il rilievo assoluto.”.
Marina, così, pensa che sul piano delle emozioni, e delle reazioni comportamentali, l’imprinting sul piano della cosiddetta pressione sociale le è senz’altro venuto dalla scuola; e non esclude che il voler divenire professionalmente un’attrice le sia venuto da lì, tanto era stato l’amor proprio e le sofferenze e le vergogne, quasi sempre oggettivamente ingiustificate. Ed ecco che le si staglia nitido nel ricordo un preciso episodio, dove chiaramente l’essere donna, e assieme scolara, e figlia unica, queste tre dimensioni, si sono come fuse in una sola negativa consistenza e contingenza esistenziali.
“Si, professore, d’accordo le chiedo scusa!” Marina ricorda fra sé e sé queste parole. “Starò molto attenta d’ora in poi. Posso uscire un minuto?, ho bisogno del bagno.”. Marina in bagno si lasciò andare ad un pianto dirotto, in cui si sciolsero rabbia, vergogna, autocommiserazione, delusione, frustrazione, risentimento. E l’immagine di un suo reggicalze appeso alla lavagna, sulla quale qualche compagno beffardamente aveva scritto “biancheria intima di Marina C.”, le ritorna come una puncicata dentro il suo cuore. E ricorda la sua distrazione stupida nell’aver messo appunto un reggicalze di riserva nella sua cartella che qualcuno, frugando, aveva poi, certo per fare uno stupido scherzo, appeso alla lavagna. Da una ragazza sedicenne come lei quello scherzo al cospetto dell’intera classe e del professore di greco e latino, il solito docente anzianotto e severo di un Liceo Classico, rappresentò una violazione della sua personale intimità! E ben ricorda che al rientro in aula alla domanda del docente sul perché della sua disattenzione, ebbe a rispondere, recitando divinamente: “Quell’indumento intimo non è mio, professore, ma è di mia madre! L’ho preso di nascosto da un suo cassetto. Lo so, è molto sexy, e volevo indossarlo per la festa che noi della classe abbiamo organizzato per sabato prossimo. Tutto qui, ma la prego di non chiedermi nulla, la prego!”.
A Marina sembra di aver gettato buone basi per ben preparare la fase della memoria emotiva, così decisiva per un regista come Luca.  E pensa anche che in fin dei conti lei, Filumena come personaggio, e così un po’ tutti gli attori, al fondo, si prostituiscono! Per un paio d’ore di piacere, di svago, e anche di riflessione, perché no?, offrono tutto se stessi, il loro corpo, la loro parola, i loro volti ad un pubblico in genere pagante! Per il quale occorre essere ad ogni costo piacenti, gradevoli, disponibili!