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Per l'inaugurazione della stagione 2018/2019 di FuoriLuogo, al Dialma Ruggero di La Spezia, Danio Manfredini ripropone una sua scrittura di qualche anno fa, già vincitrice di un Premio Ubu, una scrittura straordinaria per l'assoluta contiguità con noi, contiguità cioè con il tempo della nostra esistenza, con le sue profondità e soprattutto con i suoi limiti e i suoi confini. “Al presente” infatti è una sorta di parabola, nei suoi nessi sintattici e nelle sue articolazioni significanti tra il concretamente psicologico ed il metafisico, una parabola sulla vita e sulla morte che ricorda le tre età dell'uomo mescolate nel fluire indistinto ed extra-temporale di una memoria che vaga avanti e indietro nel tempo della vita, occasionalmente e talora incautamente aggregandosi in mulinelli che precipitano dentro e accanto a noi. Si alternano dunque nello spazio della scena e in quello della mente, reminiscenze infantili con paure presenti e, tra loro quasi a giustificarli, i transiti che hanno condotto dalle

une agli altri. Il protagonista così, come ad aggrapparsi ad uno scoglio prima del definitivo precipitare, porta in scena in forma di manichino il suo doppio, anzi, più che il suo doppio, quel manichino rappresenta l'identità quale emerge alla vita e alla conoscenza degli altri.
Una specie, cioè, di ordinato contenitore e classificatore di quel flusso di memoria, l'elaborazione intellettuale del precipizio, l'apollineo versus il dionisiaco in fondo, che ci consente di capire e di traghettare tra la sponda della nascita e lo Stige che ci attende.
Lo stesso percorso drammaturgico appare come un attraversamento dentro ai confini della scena che lo contengono e gli danno senso e profondità, mentre l'onirico protagonista della narrazione si trascina il suo doppio, la sua eco, che sembra riproporlo integro ma ribaltato.
Molto interessante al riguardo la scelta di utilizzare per i movimenti una sedia doppia, a metà tra la barella e lo strumento di tortura, un oggetto che con gli altri pochi che riempiono la scena subisce continue e inesorabili trasformazioni, specchio del girovagare del protagonista.
Danio Manfredini manipola con sapienza il suo corpo e i segni della sua espressività e, attraversando sintassi psicotiche, raggiunge una rara bellezza espressiva che ci ricorda il teatro “No” per la sua capacità di manipolare la percezione del pubblico.
È infatti sorprendente la capacità di Manfredini di esprimere con piccolissimi slittamenti segnici e sintattici i diversi contesti temporali e esistenziali della narrazione; basta una semplice parrucca per trasformarlo e trasformarci.
È uno spettacolo breve ma profondo, ove l'angoscia dell'esistere è elaborata in espressione drammaturgica che consente a quell'angoscia di chiarirsi e di indicare una strada verso la morte da condividere con sé stessi.
Di e con Danio Manfredini, ha collaborato all'allestimento Vincenzo Del Prete. Assistente alla Regia Lucia Manghi.
Un esordio convincente per una stagione di FuoriLuogo che si preannuncia molto interessante da condividere. Il 26 e 27 Ottobre al Dialma Ruggero di La Spezia. Teatro pieno e molti applausi.

Foto Umberto Costamagna