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Protetta dalla colline che circondano Lucca è nata, e da qualche anno si sta sviluppando con sempre maggiore visibilità, una iniziativa culturale, la definirei anzi un vero e proprio progetto di estetica, che mescola e sovrappone con sapienza natura e cultura, arti performative, figurative e teatro di ricerca. Sto parlando della “Tenuta dello Scompiglio”, che si dipana tra agricoltura sostenibile e riqualificazione paesistica dalle profonde radici esistenziali, e al cui interno l'omonima Associazione Culturale progetta e sostiene, si sarebbe detto una volta ma il termine mecenatismo non sembri superfluo o superato, lo sviluppo dell'arte come contesto del vivere e come modo del conoscere non solo sé stessi ma anche ciò che appare attorno a noi. Strano e non abituale forse, ma certamente interessante, e con un certo fascino che discende da un contesto che potremmo niccianamente definire inattuale ma insieme così paradossalmente contemporaneo e forse anche necessario.

All'interno dell'interno di questa iniziativa, da settembre 2018 a dicembre 2019 si stanno avvicendando e si avvicenderanno gli appuntamenti della Rassegna, anche se forse è riduttivo così definirla, “Della morte e del morire” che prevede un fitto cartellone di mostre, performance, concerti, workshop, residenze, incontri e attività per bambini incentrati, come scrivono gli organizzatori, “sull'individualità in relazione alla morte e alle sue tre dimensioni: socio politica, ideologica e celebrativa”.
Tema dunque anche questo quanto mai inattuale, e da far inarcare il sopracciglio a più di un critico e studioso, ma proprio per questo ancor più fascinatorio per la sua capacità di sottrarci, per un minuto e per qualche ora, alla schiavitù della moderna ed economica sterilizzazione mentale e sociale del denaro che, come noto, la morte esclude necessariamente da ogni orizzonte produttivo.
Recuperare il rapporto con la morte, e con il senso che conferisce alla vita perché solo il limite è in grado di esprimere un giudizio e quindi di dare forma, interiore ed esteriore, ai sentimenti e ai desideri, diventa dunque anche distacco e ribellione.
Tra l'altro, nonostante le persistenti censure culturali e sociali, il tema della morte e il tema dell'assenza, anzi direi dell'assenza della morte, preme sempre di più negli orizzonti della ricerca anche drammaturgica più autentica.
Sabato 27 Ottobre, nel piccolo ma assai bello spazio teatrale, sono stati presentati gli esiti di due delle “residenze teatrali” che come detto accompagnano l'iniziativa. Meritano da parte nostra un breve resoconto.

IL CANTO DELL'ASSENZA
È il terzo passaggio della “Trilogia della Memoria”, il passaggio conclusivo di un percorso che la compagnia “Gli instabili Vaganti” di Bologna sta portando avanti. È dunque uno studio che potrà essere propedeutico ad un vero e proprio spettacolo, ma che già ne evidenzia sintassi e movimenti in farsi. Qui la morte è vista e vissuta, a mio avviso, nel più profondo dei suoi paradossi quello di essere una “assenza metafisica” profondamente e concretamente “presente”. Il tramite e la testimonianza di questa presenza è il ricordo che si deposita nel canto rituale ovvero negli oggetti che questa presenza/assente hanno condiviso. Nel ricordo il tempo non è più storico e rettilineo infatti ma si fa circolare e quindi sospeso come l'attesa. La morte diventa pertanto la domanda cui, in fondo, la vita deve una risposta. Ideazione e regia di Anna Dora Dorno, in scena Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola che sono gli Instabili Vaganti e hanno curato il suono e il progetto musicale in collaborazione con Riccardo Nanni e Alberto Novello. Video degli Instabili Vaganti in collaborazione con Elia Andreotti.

ES.
Qui la morte, invece, sembra allontanarsi dalla dimensione metafisica della circolarità e dell'assenza, per farsi in un certo senso progetto esistenziale. Di fonte alla dimensione della scomparsa di cose e persone nella Natura (non nel nulla o nel divino), una scomparsa che assume talora la sintassi di un gesto attivo di volontà nostra o di altri, la performer sembra voler ricostruire il proprio spazio esistenziale quasi che questo avesse la forma ed i confini tracciati da chi si è allontanato nella morte. Si accende così un fitto dialogo che vuole recuperare i segni di una presenza perduta per farne la grammatica di una vita che vuole disperatamente riconquistare il suo significato. Anche questo ovviamente uno “studio” con delle potenzialità. Di e con Carolina Balucani. Collaborazione alla drammaturgia Costanza Pannacci e Giulietta Mastroianni. Supporto coreografico di Lucia Di Pietro. Supervisione alla regia Grazia Morace.

A collaterale presso lo SPE – Spazio Performativo ed Espositivo che ha accolto gli spettacoli descritti, erano visibili tre interessanti installazioni risultanti da progetti vincitori del Bando che, come per le drammaturgie, supporta l'iniziativa.
Anch'esse tutte circuitanti il tema della morte, a partire dalla volatilità della luce de “Il Lanternista” del collettivo Gli Impresari e da “Krajany” un progetto del trentino Christian Fogarolli intorno alla morte anticipata degli internamenti psichiatrici, e per finire con “Columbarium” del messicano Alejandro Gòmez de Tuddo esplicito transito nell'elaborazione del lutto attraverso la raccolta e l'esposizione di fotografie raccolte  nei cimiteri del mondo.
Tutto  ciò a conferma del carattere eclettico e scombinatorio di una iniziativa artistica che si arricchisce sempre più.