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Emanuele Trevi, drammaturgo, e Massimo Popolizio, regista, si incamminano per vie e viuzze delle borgate di una Roma che non esiste più, una Roma tragica e sofferente, infelice forse come l'attuale travolta da un insolito destino, ma di una infelicità diversa, la Roma che Pier Paolo Pasolini nel suo primo romanzo rappresentava con ferocia ma anche con affetto, un malinconico affetto che vedeva persistere in quella umanità giovane e vitale una ingenuità quasi bontempelliana, una ingenuità smascherante e sincera ma intrisa già dei segni della sua dispersione e disperazione nella modernità nascente. Erano e sono, quelle di Riccetto, Agnolo, il Begalone, Alvaro e tutti gli altri, i grumi di sangue e vita nascosti dietro le maschere che si facevano benevole in una Roma ufficiale,

cinematografica e turistica, ma che, ancora con i tratti dell'amato neorealismo, Pasolini intravvedeva, portava alla luce anche contro tutti e forse nostalgicamente rimpiangeva.
Così su una scena velata e mobile, ordinata e mutante come le pagine di un libro, questi ragazzi di vita alternano con ironia e quella sagacia, una volta detta 'popolare', la narrazione all'azione, agendo cioè e rappresentandosi lì e ora, quasi consapevolmente, come se ancora fossero davanti agli occhi del poeta romanziere che con la sua parola ne trasfigura i tratti fino a trasformare la loro dimensione esistenziale in una dimensione universale, storica e anche un po' metafisica.
Un mondo ed una vita scissa, divisa tra le vie del centro, luogo di incursioni piratesche e della vendita di sé al nascente dio denaro, l'infantile baloccarsi negli stabilimenti balneari sul Tevere, e infine le baracche abusive e le strette vie ed i sentieri di campagna, quasi nascondigli di selvatici abitatori, delle borgate ormai sul punto di essere travolte da una indiscriminata edificazione, trionfo di una ambigua modernità capitalista, che ne conserverà i nomi per avvelenarne e distruggerne l'essenza.
Una bella drammaturgia, dalla scrittura stratificata, messa in scena da Popolizio con tonalità alte, quasi gridate, che talvolta attenua lo sguardo amaro e tagliente di Pasolini, mostrando l'ambiguità tra umanità e maschera di quelle esistenze riconoscibili anche nelle canzoni melodiche d'epoca che arricchiscono lo spettacolo.
Diciannove gli attori in scena, bravi e molto nella parte: da Lino Guanciale, il Narratore, a Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Verdiana Costanzo, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Silvia Pernarella, Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti.
Scene di Marco Rossi, costumi di Gianluca Sbicca e  luci di Luigi Biondi.
Una produzione del Teatro di Roma riproposta dopo i successi delle passate stagioni, ospite del Teatro di Genova al teatro della Corte dal 12 al 17 Febbraio. Un successo.