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È, questa inaspettata e sorprendente drammaturgia, che arricchisce gli eventi di “MATERA 2019” un viaggio, ma paradossalmente e in-attualmente non è un viaggio verso, piuttosto è un viaggio 'attraverso', attraverso il mondo, la storia, la cultura, la comunità qui e altrove, e quindi, inevitabilmente e intimamente, attraverso noi medesimi.  È dunque un accadere, anzi come in ogni vera e propria peripezia spirituale e insieme esistenziale, è etimologicamente  un 'cadere dentro' improvviso e illuminante, come quei ritorni alla scaturigine dei nostri pensieri che talora ci sorprende nel nostro cammino, come una sosta che corrobora o una chimera che ci spinge e non ci illude. Scendere dalla montagna che ci partorisce e ci difende, ma spesso ci isola, per viaggiare verso il mare con una bambina che non vuole fermarsi e addormentarsi tra i luoghi che l'hanno fatta tale e per riportare, a bordo di una nave immobile da sempre e abbandonata, un pesciolino rosso e poeticamente parlante che vuole ritornare alla sua casa. La storia si mette così con sorpresa in moto, inattesa e restia alla sua condanna, e dal Rione Cocuzzo di Potenza una nave luminosa lascia le vecchie ancore e si

avvia nella piana del Basento per raggiungere la città capitale della cultura, quella Matera così prossima al mare.
Non ci si meravigli di questi riferimenti così concreti, geografici se vogliamo, ma questo è uno dei rari casi in cui la realtà concreta, fatta di comunità che cercano riscatto e di individui che non si rassegnano, è parte integrante, sintatticamente ed esteticamente costitutiva, della creazione drammaturgica in cui si trasfigura senza perdere la sua grammatica di realtà.
Dunque ogni tappa, insieme a Sofia (nome di contesto profondamente significante) diventa una scoperta, anzi una prova meno definitiva ma non più facile dell'enigma di una sfinge sofoclea, una prova che nel secondo episodio a Castelmezzano vira in una scelta tra l'incantatrice delle anime e il taglialegna che ha abbattuto l'albero del Sole.
A Gargaruso la voce del pesciolino si fa muta e, di fronte al dubbio che prende la comunità in cammino, Albedo e la sua fonte da alchimista sono l'unica speranza di dissetarsi al desiderio perduto e riprendere il cammino.
Poi a Ferrandina per recuperare una comunione dispersa e disillusa e giungere infine a Matera, per fronteggiare la paura che ci siamo portati dentro, che ci portiamo dentro e riscattarla nella scoperta che ogni giorno rinnoviamo. Vinta la paura il pesciolino tornerà il bambino che è.
Una scoperta e una voglia di vita, della vita che ci sottrae ogni giorno ed ogni minuto al fascino sottile e subdolo della morte, non tanto quella fisica e singolare, quanto quella spirituale, psicologica e anche estetica che affligge la nostra condivisa e accidiosa contemporaneità.
Come un nicciano Zarathustra la bambina dagli occhi pieni di desiderio e di speranza è scesa dalla sua montagna con i suoi cittadini e cittadine e si è confusa nel mercato del tempo e della storia per ritrovare il filo di una sapienza che non è tanto la razionale costruzione di un mondo, quanto la sua condivisione eterna che circuita perennemente intorno a sé stessa e quindi a ciascuno di noi.
Così parlò infatti: <<il valore di tutte le cose sia stabilito da voi in modo nuovo! Perciò dovete essere combattenti! Perciò dovete essere creatori! Il corpo si purifica nel sapere.>>
Dall'imperativo socratico “conosci te stesso” al perenne monito del “sii te stesso”, scegli cioè di essere quello che sei scoprendolo giorno dopo giorno.
Una drammaturgia profonda, dalla trama sottile ma solida come una antica tela, che è vera  allegoria della vita in comune e di ogni singola esistenza in transito, laddove, come intuiva Walter Benjamin, “il particolare non è che l'emblema, l'esempio dell'universale”, la sua forma ovvero la sua figura al modo di Erich Auerbach.
È un accadere, dicevano, un cadere dentro che scoperchia il ricco sottosuolo, fisico e culturale, di quelle terre antiche, rimandandoci le sue 'memorie' e, con quelle, le nostre 'memorie', le più intime e nascoste. Un uscire purificati dall'Inferno per avviarsi, come nel dantesco Purgatorio verso la luce del Paradiso.
Una drammaturgia itinerante di Riccardo Spagnulo, che nulla concede alla semplificazione linguistica e sintattica mantenendo integra la complessità significante del narrare, con la collaborazione di Mimmo Conte, che firma anche la bella regia, e di Mida Fiore suo aiuto, per la direzione artistica di Carlotta Vitale che nell'ultimo episodio è anche in scena.
La nave itinerante, volante e affascinante, su cui viaggiano ricordi e speranze è opera di Mario Carlo Garrambone come l'intera ideazione e realizzazione scenografica.
Protagonisti i bravi Souphiéne Amiar, Mino Decataldo, Sara Larocca, Giuliana La Rosa, Marica Mastromarino, Francesco Sigillino, Carlotta Vitale, e La Klass con gli abitanti lucani.
Una produzione, appositamente per Matera 2019 Capitale Europea della Cultura, di Gommalacca Performance Theatre Education, compagnia da tempo attiva e proficuamente nel quartiere popolare Cocuzzo di Potenza che custodisce come un tesoro controverso e nascosto  speriamo presto meglio utilizzato al centro del quartiere, la nave di cemento dell'architetto Eric Miralles che ha ispirato la peripezia. Spero che questa sia l'occasione per aprire all'attenzione costante e non occasionale nazionale una realtà di grande valore culturale.
Una esperienza convincente che ha coinvolto e commosso persone e comunità della Lucania intera.