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Trentamila erano, a metà degli anni ’70 del secolo scorso, i bambini italiani clandestini in Svizzera: sepolti vivi, per anni, nei loro bugigattoli alle periferie delle città industriali; con i genitori che, terrorizzati dalle denunce dei vicini, raccomandavano loro di non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere.
La drammaturgia che state per leggere nasce, dunque, dalla scoperta di tale fenomeno dei «Versteckte Kinder» – bambini nascosti – proseguito con altri numeri fino all’ultimo decennio del ’900: bambini costretti a seguire in Svizzera i genitori, lavoratori stagionali, ma per legge clandestini e impossibilitati al ricongiungimento famigliare.
Due di loro sono i protagonisti di questa commedia nera. Cresciuti in una situazione di disagio, senza poter vedere la luce del sole, studiare, giocare al parco come i loro coetanei; e poi, da adulti, ancora incapaci di conoscere i loro sentimenti e quelli altrui: tormentati come sono da profonde paure e da un folle desiderio di rivalsa verso una nazione che non li voleva e che non li vuole ancora oggi.
Da comasco sono cresciuto immerso in una realtà incredibilmente diversa dal resto d’Italia, quasi senza accorgermene. Per noi delle province di confine è sempre stato normale avere lo zio a Basilea, il cugino a Ginevra, una sorella o una fidanzata lavoratrici in Svizzera, i nonni dipendenti della Lindt, la bisnonna contrabbandiera di sigarette.
Como, la ricca Como ‘minacciata dalle orde migratorie’, è essa stessa una città di migranti giornalieri, lo è sempre stata, e non me ne ero mai accorto.
Finalmente posso raccontare qualcosa che conosco da vicino: un rapporto, quello con il Ticino, molto controverso. Se da una parte i frontalieri “portano a casa i soldi”, dall’altra spesso nascondono l’insofferenza per essere trattati da ‘italiani’: lavoratori che si accontentano di un salario basso; spesso accompagnati da pregiudizi come quelli espressi dalla barzelletta raccontata in tutta serenità dall’ex sindaco socialista di Berna, Alexander Tschappat, ripresa nel corso della commedia da uno dei personaggi.
E contando anche che – tramite referendum del 25 settembre 2016 – il Canton Ticino ha approvato l’articolo costituzionale “Prima i nostri”, teso a privilegiare la manodopera indigena nelle assunzioni di lavoro, i due protagonisti della pièce intendono dare allora un segnale di protesta e ribellione talmente forte da imprimersi, una volta per tutte, nell’immaginario dell’opinione pubblica elvetica.
Rapire Mina. Questa la soluzione. Mina, la grande cantante, la tigre di Cremona. Nata a Busto Arsizio. Residente a Lugano. Riportarla a casa, come la Monna Lisa.
La scelta drammaturgica è strettamente legata al mio ruolo di attore e regista. La scrittura nasce già recitata, masticata in bocca prima di essere scritta, e cerca di lasciare spazio all’azione anche a discapito dell’esposizione giornalistica dei fatti che la determinano.
La scelta del linguaggio dell’opera rispecchia profondamente la mia visione del mondo, la necessità di ridere di fronte a tutto ciò che non conosciamo di noi stessi e di tutto ciò che ci circonda.
La tematica affrontata è a cerchi concentrici. Parte dal macrotema sociale fino ad arrivare al particolare introspettivo. La critica alla vicina Svizzera, alle sue discutibili scelte di questo e dello scorso secolo, lascia fin da subito spazio a un altro tema: il disagio di due emigranti che, come sovente accade, cercano qualcuno o qualcosa con cui prendersela. Sono italiani e sono in Svizzera, ma potrebbero essere di qualsiasi nazionalità e ovunque.
Ma è l’esistenza, alfine, il focus su cui vira l’andamento del testo. Così come è emblematica la decisione dei protagonisti di rapire un’icona del calibro di Mina: venerata, stranota e diffusamente nominata a dispetto della sua scelta di scomparire, tanti anni fa, dalle scene mass-mediatiche e televisive. Da cui la domanda inversa: cioè, come si fa invece a essere qualcuno e ad avere un proprio posto nel mondo, quando quest’ultimo fa fatica a sopportarci?
Forse la violenza, declinata in tutte le forme di terrorismo narrate negli ultimi anni in Europa, nasce proprio da questa intima frustrazione; e dopo, solo dopo viene legittimata da altro: politica, religione, ideologia.
COSÌ LONTANO, COSÌ TICINO è pertanto il racconto di una follia che diventa realtà. Un gioco teatrale che eviscera – esasperandolo – non solo il rapporto tortuoso che hanno con la Svizzera i 60.000 italiani circa che, ogni giorno, varcano il confine come frontalieri dalle ricche province del Nord Italia, a cui vanno sommati i 500.000 residenti stabili oltreconfine: bensì, più in generale, la frustrazione e l’ammirazione dell’emigrante verso un paese che gli dà da mangiare e, al contempo, lo detesta.
Davide Marranchelli

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Diretto dallo stesso autore, a sua volta in scena con Stefano Panzeri, COSÌ LONTANO, COSÌ TICINO è altresì uno spettacolo prodotto da Teatro Città Murata e Mumble Teatro, che ha avuto la sua prima nazionale il 28 aprile 2018 al Teatro San Teodoro di Cantù, in provincia di Como. L’anno seguente è stato quindi finalista a Siena al Premio In-Box 2019 (di cui al website “inboxproject.it”) dove, lo scorso maggio, si è aggiudicato il riconoscimento della giuria “popolare” dei Millennials oltre a una serie di repliche in tutta Italia.

Davide Marranchelli nasce a Cantù il 6 novembre 1982. Prima di laurearsi in Scienze dei Beni Culturali all’Università Statale di Milano, frequenta il corso per attori della Civica Scuola Paolo Grassi di Milano, proseguendo la formazione con pedagoghi e artisti quali: Kuniaki Ida, Gabriele Vacis, Ambra D’Amico, Elisabeth Boeke, Emanuele De Checchi, César Brie, Laura Curino, Serena Sinigaglia e Leo Muscato. L’amore per il teatro e qualsiasi forma di narrazione lo portano a esplorare differenti forme di ricerca artistica e d’attore. Ha quindi l’occasione di interpretare Zorzetto/Arlecchino nella BARCA DEI COMICI goldoniana, diretta da Stefano de Luca per il Piccolo Teatro di Milano; di collaborare con AsLiCo e Teatro Sociale di Como in qualità di attore e mimo per produzioni operistiche quali LA BOHÈME, CAPULETI E MONTECCHI, LA SONNAMBULA e OTELLO; di lavorare con molteplici realtà teatrali italiane come Unoteatro, Teatro del Buratto, Fondazione Toscanini, Teatro Evento, Teatro Pan e, a Mosca, con il Puppet Theatre Sergeij Obraztsov. Un fervido e articolato percorso che va dalla commedia dell’arte alla narrazione, dal teatro di figura al cabaret. Dal 2010 lavora inoltre come regista nella compagnia comasca Mumble Teatro, di cui è cofondatore e con la quale mette in scena diverse produzioni: tra queste si ricordano SENTIMÈ, presentata al festival Il Giardino delle Esperidi 2013 con la compagnia Anfiteatro; e, in coproduzione con Teatro Città Murata nel 2015, FIGURINI di cui è anche drammaturgo. La sua attività registica si estende poi nell’ambito dell’opera lirica. Difatti per AsLiCo cura le regie del BARBIERE DI SIVIGLIA, della CARMEN e dell’ELISIR D’AMORE all’interno del progetto OperaIT, mentre è assistente regista di Silvia Paoli per OTELLO e, al Teatro Comunale di Sassari, di Matteo Mazzoni per LA BOHÈME. Nel 2019 infine, fatta menzione dei successi di COSÌ LONTANO, COSÌ TICINO, vince il concorso della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo con la creazione DON GAETANO - A SPEED DATE WITH: spettacolo musicale di ricerca da lui scritto e diretto, rappresentato durante la Donizetti Night del 15 giugno dello stesso anno.