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Arona, sponda piemontese del Lago Maggiore. Dacia Maraini ha proposto e ispirato, dal 3 all'8 Settembre, la IX edizione del festival ideato insieme a Luca Petruzzelli, che dal 2014 si battezza “Il Teatro sull'Acqua” (con il bel esergo “Rendere possibile l'inaspettato”) e che, infine, ha come filo conduttore di questa edizione la poesia. Un Festival dunque eterodosso o meglio dall'ispirazione plurima, ma riconducibile in fondo alla comune partecipazione alla parola, in cui il teatro è parte promotrice di una sensibilità più vasta cui il segno estetico e letterario di Dacia Maraini conferisce una unità percettiva e artistica quasi inaspettata, una armonia paradossale nell'epoca delle esasperate specializzazioni. L'acqua ne è dunque l'orizzonte e la poesia una sorta di bussola, che ci guida tra apparizioni performative del teatro di figura, tra la fantasia del teatro di strada e l'estetica dello spettacolo di drammaturgia, mentre la letteratura si incarica, o almeno tenta, di riportare il mondo che ci

circonda, confuso e disperso, ad un senso interiore profondo, identitario ma insieme comunitario.
Scrive Maraini nella bella presentazione che “la poesia ha una grande funzione sociale, segna il ritmo del respiro e del cammino di un popolo” a suggerire quella che è la tonalità o la suggestione complessiva della manifestazione, cioè che spesso è proprio attraverso la poesia, elemento fluido come l'acqua che si muove e rinnova sonora intorno a noi, che si può raggiungere una concretezza ed un legame reale con il mondo, interno ed esterno, altrimenti negato.
Non a caso, nota la stessa Maraini, la gente che raramente legge poesia accorre alle letture pubbliche. Perché la voce, la parola detta come avrebbe scritto Edoardo Sanguineti, veicola quella concretezza e dà realtà di suono alla suggestione del verso.
Un festival dunque che non serve solo per mettere occasionalmente in scena spettacoli o a diffondere nomi e testi, ma che è capace di muovere prima di promuovere, di provocare dunque senza aggressività lo sguardo che dal teatro nasce e che nel teatro deve ritornare.
Abbiamo assistito dunque, a spettacoli al chiuso e spettacoli di strada, tra eventi performativi e incontri letterari. Questo, brevemente, quanto ho visto, a cominciare dalla strada.

TEATRO DI STRADA

EQUILIBRIUM TREMENS
In un mondo squilibrato, in un mondo in cui addirittura lo squilibrio è diventato norma e normalità, in cui si cerca sempre di dividere, di dissociare, di marcare differenze e inutili gerarchie, da qualche parte sopravvivono i cercatori e costruttori di equilibrio. Marco Borghetti (Philip Sutil sulla scena), di Tobias Circus, è uno di questi e, eliminate clave, torce e monocicli, cerca di tenere in piedi scope e, attraverso di queste e con i loro movimenti, di rintracciare i sentimenti che lo legano al mondo e agli altri. Un mondo di stretti passaggi in cui, magro e straordinariamente agile, si infila e si muove con eleganza antica condividendolo con noi.

AMORE PONY
La femminilità come ritmo e respiro esistenziale, tra suggestioni fiabesche e trasformazioni affettive in cui il movimento è vero e proprio sentimento. Percorso, quasi una educazione sentimentale all'amore fisico, attraverso il desiderio che si sublima e ribalta gerarchie tradizionali e ormai arcaiche volontà di sopraffazione. L'amore, come soggetto/oggetto non come sentimento, è dunque, per questa giovane e brava performer, un pony da guidare con fermezza ma con dolcezza, il veicolo del viaggio verso i sentimenti della maturità e, perché no, anche della felicità. Un mondo che vive rotolando acrobaticamente con la tecnica travolgente della Ruota Cyr dominata dall'artista con grande maestria. La giovane che con ironia e arguzia nonché abilità ne è protagonista è la brava Margherita Mischitelli.

CLOSCIART...OVVERO L'ARTE DI VIVERE IN STRADA
L'eventualità di riscattare la malinconia di un Clown, in bilico tra Barrault e le lacrime salvatrici di un enfant du paradis e l'amore paradossale per la vita di un Charlot senza fissa dimora, è un anonimo posto di transito e provvisorio riposo, quale una panchina, trasformato in casa, il luogo proprio dell'identità e della relazione. L'occasione è una bufera, forse la bufera della vita. Tra un lampione, il tappeto e una radio con l'antenna questo ritorno è in fondo lo spettacolo della vita, la vita che esiste oltre ogni contingenza. Una produzione Eccentrici Dadarò con Simone Lombardelli.

Tre esempi di un teatro di strada che continua a sorprende per la propria resistenza, o resilienza come si ama dire oggi, e per la sua inesausta creatività che non vuole troppe spiegazioni e piega tutti gli ostacoli. Alla fine c'è stato, per tutti, il consueto giro con il cappello, che non è un fatto solamente 'economico' ma è soprattutto il segno di un rapporto con il pubblico che deve sempre riaccendersi e rinnovarsi per sopravvivere.

TEATRO IN VILLA

MI ABBATTO E SONO FELICE
Ci si comincia a domandare se consumare e produrre sempre di più, se crescere come ci insegnano oggi, dal lato del PIL cioè, sia la via dell'era del benessere proprio mentre sembra allontanarci invece dalla via verso l'era della felicità. Daniele Ronco, con la sua narrazione drammaturgica, contribuisce ad articolare anche artisticamente questa domanda, oltre il dominio della politica e della cosiddetta Società Civile, da Greta Thunberg in giù. Autosufficiente, mentre pedala la sua bicicletta per tutta la durata dello spettacolo, o meglio la bicicletta che fu del nonno,  per produrre l'energia che gli serve, il narratore si addentra nella sua biografia e nelle relazioni che questa, come quella di ciascuno di noi, ha con la domanda iniziale e con la possibile risposta, o con una delle possibili risposte. Una storia giovanile che sa andare oltre l'orizzonte generazionale, poetica e realistica insieme. Per la regia di Marco Cavicchioli ha vinto, meritatamente, numerosi premi.

BELLO MONDO
Con Mariangela Gualtieri la poesia occupa esplicitamente, se non materialmente in presenza per sé stessa, il palcoscenico. È impossibile dire di aver già visto, ed è successo, questo spettacolo perché è uno spettacolo che come la parola dell'autrice è metamorfico, evolvendosi ed adattandosi continuamente al tempo e al luogo che l'accoglie, in continua trasformazione, capace cioè di trasformare e di trasformarsi per forza intima e autonoma. È una vera e propria partitura sonora in cui i sentimenti e gli affetti, quell'amore di cui la contemporaneità sembra vergognarsi, si articolano, con le parole che li dicono, in Arie e contrappunti sonori, quasi a compitare l'alfabeto della vita. Le poesia sono tratte prevalentemente dalla raccolta Le giovani parole ma si integrano con versi anche di raccolte precedenti. Un po' il segno e il senso creativo, l'amalgama, di questo Festival.

INCONTRI

ANTONIO SCURATI
Ha vinto, come noto, l'ultimo Premio Strega, con il romanzo M il figlio del secolo, in cui M sta ovviamente per Benito Mussolini. È un libro che cerca di parlare del fascismo e del suo inventore attraverso le parole che hanno usato e talvolta piegato, quasi a rintracciare in quelle parole, e nella sintassi che le organizzava con efficacia, la struttura di un fenomeno che ha segnato tragicamente l'Italia e attraverso di questa l'Europa e il mondo. È una metodologia che, ponendosi in un certo senso all'esterno, cerca di elaborare il suo giudizio sul fenomeno attraverso la sua analisi linguistica e soprattutto solo alla fine di questa analisi, cioè liberandosi per quanto possibile di pre-concetti e, appunto, pre-giudizi. Non esente da polemiche di varia provenienza, questo libro di successo sarà  alla base anche di una prossima serie tv. Il confronto con Dacia Maraini ha avuto spunti di grande interesse.

FABIO PUSTERLA
Poeta svizzero ticinese è una delle voci più interessanti e consolidate della poesia italiana, vincitore tra l'altro del Premio Montale. Nel suo ultimo libro di versi Cenere e terra Pusterla si confronta, al di là del titolo, con il tema dell'acqua come elemento primordiale, simbolo della natura nella sua duplice e contraddittoria capacità di creare la vita e di distruggerla con la medesima indifferenza. Una indifferenza che però non è tale ma solo leopardiano e infinito distacco dall'uomo e dalle sue transitorie passioni. Confrontandosi, confessa la sua diffidenza e la sua difficoltà nei confronti di questo elemento e la sua sorpresa nello scoprire invece la vicinanza ad esso della figlia. Una presenza preziosa e empatica, oltre lo stesso contesto, che in un certo qual modo conferma la natura trans-frontaliera del festival, geografica, culturale e di linguaggi artistici.

MICHELA MARZANO
Il suo dialogo, fitto e partecipato, con Dacia Maraini è stato un incontro di sensibilità non solo culturali ma, al fondo, anche esistenziali. Filosofa all'università Paris Descartes, ove è professore ordinario di filosofia morale e politica, Marzano ripercorre la sua esperienza di vita come fosse un percorso di approfondimento e di avvicinamento ad un orizzonte di consapevolezza, personale ma anche condivisa. Nel suo ultimo libro, Idda, l'autrice analizza gli aspetti relazionali della malattia cognitiva giovandosi anche, dichiara, di quanto scoperto nel rapporto con la suocera malata di Alzheimer. In particolare si sofferma, quasi sorpresa, sul fatto che in quella relazione, così deteriorata dal punto di vista intellettivo, spessore affettivo e qualità della relativa comunicazione sembravano preservati. Una suggestione di grande interesse e potenzialità affinché non ci si allontani troppo da loro. Ma non solo, io credo, anche una suggestione che suggerisce come l'amore, dimenticato, irriso e bistrattato come mai, rimanga una forza potente nell'universo umano, oltre le competenze e abilità astratte cui sembriamo sempre più affidarci e fidarci ciecamente. Un richiamo a rivedere e a ricomporre il quadro dell'esistenza nostra e altrui.

Tutto questo dentro un ambiente, per così dire, trasfigurato da altri eventi all'aperto che il maltempo ha in parte sfavorito, come “Incanti e Memorie”, parata di macchinerie teatrali, ballerine e colorate creature dell'acqua, tra pesci, cavallucci marini e un grande Cigno. Oppure “Concertazione per elementi” il vero e proprio spettacolo sull'acqua, simbolo stesso del Festival, fatto di trasparenti apparizioni e luci modulate sospese sul palcoscenico del lago nell'antico porto di Arona trasformato in liquido anfiteatro.
Un festival, per concludere, complesso e articolato che, con il tempo, ha conquistato uno spazio consolidato ed una ragione condivisa in questa cittadina lacustre, oltre la stessa vocazione turistica che si legge nelle belle case del centro storico e nelle ville che la circondano. Festival Teatro sull'Acqua è così diventata una presenza continua nel territorio e nella comunità di Arona. Ne è prova provata l'iniziativa “Nativi Teatrali” che coinvolge bambini ed adulti in un percorso che non è solo di crescita culturale ma è anche creazione di competenze teatrali, tecniche o artistiche che siano (a teatro non fa differenza in fondo), o solo acquisizione di consapevolezza di spettatore. Generazioni che si alternano, dunque, per una polis rinnovata e consapevole. L'iniziativa sarà oggetto di un video documentario che speriamo avrà la giusta diffusione e che conterrà anche una poesia creata per l'occasione dalla stessa Maraini.