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Dacia Maraini è figura che ha poco o punto bisogno di presentazione. Scrittrice poliedrica dallo straordinario rigore e dall'altrettanto straordinaria apertura intellettuale, può essere definita personalità trasversale della cultura italiana. Tanto sia dal punto di vista storico e biografico, essendone stata protagonista importante in molte stagioni e in molti passaggi, sia dal punto di vista  della espressività e della creatività, che si dipanano tra poesia e romanzo, tra saggistica e teatro. A quest'ultimo riguardo, che più ci è vicino, va ricordata la fondazione nel 1973 del “Teatro della Maddalena” gestito e diretto da sole donne. Per quella esperienza scrisse alcune delle sue drammaturgie più note, quali “Maria Stuarda” e “Dialogo di una prostituta con il suo cliente” che ebbero forte impatto non solo letterario. Quel luogo e quella iniziativa furono l'apertura a sensibilità femminili in ruoli, come la regia e la drammaturgia, in cui erano state fino ad allora praticamente assenti. Quasi tutte le sue opere

per il teatro sono oggi raccolte in “Fare Teatro. 1966 – 2000”. Incontro Dacia Maraini ad Arona nel corso del festival “Il Teatro sull'Acqua” da lei fondato nel 2011 e di cui è da sempre Direttore Artistico. Dalla sua cortese disponibilità nasce questa breve conversazione.

MDP: Sig.ra Maraini la sua creatività da sempre si esprime in tutte le forme della scrittura, dalla poesia al romanzo, dal racconto alla drammaturgia. Sono forme tutte per così dire interscambiabili tra di loro o ciascuna esprime un particolare aspetto del suo sguardo sul mondo interiore ed esteriore?

DM: Ci sono, tra queste forme, differenze; sono in effetti tre modi diversi di esprimersi artisticamente che però possono essere praticati contemporaneamente. Pirandello, solo per fare un esempio, scriveva per il Teatro e insieme scriveva novelle, quindi non è che un autore non possa farlo, però deve sapere che ogni campo ha, ciascuno, le sue regole. Il teatro ad esempio è molto simbolico, molto di più della letteratura, tanto è vero che si presta molto alla politica, alla lettura politica, proprio perché ha questa carica simbolica. Quando ad esempio Shakespeare scriveva di personaggi del cinquecento, o addirittura dei romani, parlava in realtà dei e ai suoi contemporanei. Questo può farlo il teatro mentre non lo può fare il Romanzo che è molto più “realistico”, attento e legato, cioè, alla realtà di cui parla. Il teatro invece ha questa forza simbolica e bisogna tenerne conto, così come la poesia ha una concisione e una rapidità di immagine sua propria. Inoltre ha una componente sonora, una sonorità prevalente e tra il fonema e il tema, tra il suono e il significato, prevale il primo. Per questo è difficile tradurre la poesia. In sostanza chi scrive poesia ha che fare con la musica perché la parola ha un suono prima ancora di avere un significato, questa è la natura della poesia. Nella prosa invece non è così, conta in primo luogo il pensiero, conta la descrizione della realtà, la relazione dialogica, cose che non sono preminenti né nella poesia né nel teatro. Quindi per me sono modalità diverse di espressione che usano come elemento comune la parola, però con strutture espressive, ed anche esiti, diversi tra di loro.

MDP: Restando al suo teatro mi sembra evidente una sua particolare attenzione al “femminile” ove con la componente biografica o autobiografica convive, io credo, una componente per così dire universale di genere. È una componente questa solo di contrapposizione o anche di relazione con l’umanità maschile?

DM: Credo si debba partire dal fatto che la Storia la raccontano i vincitori e che, quindi, la storia del mondo l'hanno raccontata gli uomini. Ora le donne devono cominciare a raccontare anche il proprio punto di vista sulla storia. Tutto questo non c'entra in alcun modo con un presunto stile femminile, che io non credo esista, mentre esiste uno stile  personale. Esiste però un punto di vista femminile, questo sì, in quanto le donne hanno oggettivamente vissuto una storia diversa rispetto a quella raccontata, una storia fatta di reclusione, fatta di esclusione, cui io mi dedico in quanto donna, non per altre ragioni. Pertanto mi viene abbastanza spontaneo raccontare storie di donne, un punto di vista a cui non si è dato sempre la giusta importanza. Quando però io ho scritto la storia di Chiara di Assisi, di Caterina da Siena, di Camille Claudel e così via, erano narrazioni rivolte a tutti in quanto anche gli uomini devono rendersi conto che esiste un pensiero, un punto di vista, un modo di essere che non è il loro. Questo pensiero, questo punto di vista, questo modo di essere non deve però essere necessariamente contrapposto. Io non credo alla guerra dei sessi, non ci ho mai creduto, perché non deve esserci, non c'è contrapposizione, bensì c'è confronto.

MDP: Nel 1979 lei fondò il Teatro della Maddalena, un teatro tutto al femminile. Avrebbe senso rifarlo oggi?

DM : Credo che allora fosse necessario farlo, perché quando io ho fondato il Teatro della Maddalena, non esistevano registe donne, non esistevano drammaturghe donne. Ad esempio Franca Valeri, che oggi è considerata una scrittrice di teatro ed anche piuttosto importante, allora era definita un 'battutista' una 'caratterista' anche se effettivamente scriveva per il teatro, ma era l'unica. Non esisteva infatti un mondo di scrittrici per il teatro, sono venute fuori dopo, un po' alla volta, e il nostro lavoro, quello che ho iniziato io insieme ad altre, ha fatto sì che emergesse un mondo femminile, anzi per meglio dire una soggettività di donne che scrivevano per il teatro. Quindi non avrebbe importanza oggi un lavoro del genere, anche se rimane importante che ci siano donne che esprimono come drammaturghe o come registe teatrali. Il lavoro che abbiamo fatto noi è appunto stato quello di aprire uno spazio per loro.

MDP: L’esperienza della reclusione, in Giappone dal 1943 al 1945, ha segnato una parte della sua infanzia. Quanto ha inciso, oltre che nell’aspetto politico, in quello estetico e artistico della sua visione letteraria?

DM: Mah. È difficile dirlo. Certamente una visione per così dire 'drammatica' delle cose mi è rimasta di quell'epoca, del periodo della concentrazione. Io non lo sapevo ma ogni giorno poteva essere quello della morte, sia per le bombe, sia per la fame, sia per le malattie, e quindi c'era questo senso del pericolo, della precarietà e della drammaticità del futuro. Essendo un periodo durato due anni ha certamente influito sulla mia natura, però, poiché io sono una persona sostanzialmente positiva, l'ho superato quel frangente, potendone invece essere distrutta. Comunque ora sono una persona attenta a quello che accade, a chi soffre, a chi sta male, a chi è escluso e, probabilmente, tutto ciò mi viene da questa esperienza. Insieme nel complesso conservo una forza positiva, costruttiva, e penso appunto che il mondo, il nostro mondo, vada man mano costruito e non soltanto criticato o addirittura distrutto.

MDP: Questo anche grazie alla presenza di due genitori fuori dal comune

DM: Indubbiamente e anche loro erano persone costruttive che, nonostante le difficoltà e le avversità, hanno saputo tener duro credendo nel futuro.

MDP: Nel corso della sua vita artistica ha spesso avviato iniziative che tendevano non solo a promuovere ma anche a valorizzare gli aspetti innovativi della cultura italiana. In proposito vorrei chiederle un giudizio sulle tendenze emerse in questo festival e anche nei precedenti.

DM: Dal punto del teatro, sinceramente non vedo nuove tendenze. Forse lo spettacolo sull'acqua, che costituisce il segno del festival, rappresenta la tendenza, che emerge sempre più spesso, alla spettacolarità nel teatro, al teatro di immagine o di figura che non è una novità, che esiste da tanto tempo ma si consolida. Sono peraltro interessanti, al riguardo, i monologhi che abbiamo fatto per Teatro in Villa, come quello di Luigi D'Elia o quello di Daniele Ronco, monologhi che esprimono un teatro che non crede più nelle ideologie, che non crede più ai progetti universali ma che, al contrario, è molto legato alle esperienze personali, esistenziali fino all'autobiografismo. Anche se comunque quello di Daniele Ronco apre molto al tema dell'ambiente, cui i giovani oggi sono giustamente sensibili in quanto il loro futuro è messo in discussione dalla distruzione dell'ambiente con i ghiacci che si sciolgono ed i disastri che appaiono all'orizzonte del pianeta. Anche più di noi, i giovani se ne rendono conto come dimostra quel personaggio di punta che è diventata Greta Thunberg, verso la quale nutro molta simpatia perché credo sia riuscita, con il suo candore, con la sua delicatezza, con la sua fragilità, a comunicare il senso del pericolo e la necessità di fare qualcosa per evitarlo. Giustamente lei dice di non poter far niente da sola, ma, dice ancora, voi adulti potete e allora fatelo. Così se lei riesce a comunicare questo e a coinvolgere, allora può darsi che qualcosa si muova. In Italia forse meno, ma nel mondo ci sono continue manifestazioni, contro l'uso della plastica ad esempio, o l'uso smodato degli anticrittogamici, lo spreco infinito e il consumo, in quanto Greta è stata capace di segnalare quelle cose e insieme di coinvolgere. Questo credo sia positivo ed è arrivato anche al teatro.

MDP: Sig.ra Maraini io la ricordo partecipare, negli anni passati, ad esempio alle iniziative di Teatro Civile, la ricordo per questo all'Ambra Jovinelli di Roma. Ora però sembriamo vivere un periodo che chiamerei di 'stagnazione culturale'. Lei ha avuto la ventura di vivere e partecipare a momenti in cui gli intellettuali costruivano e alimentavano un ambiente culturale di crescita condivisa e aperta. Ora invece gli intellettuali sembrano sempre più ripiegarsi nel disincanto e nella solitudine. Secondo lei da cosa è dipeso e dipende questo mutamento?

DM: A mio parere questo è dipeso e dipende dalla crisi delle ideologie, dal fatto cioè che non ci sono più ideologie condivise. Le ideologie sono una visione del mondo presente e futura condivisa, a fianco ci sono poi le utopie, le visioni di un mondo nuovo e le speranza di cambiare il mondo presente. Ma le ideologie in particolare possono esistere solo se sono condivise, non se sono solo individuali. Oggi ideologie condivise non esistono più, è tutto frammentato, individualistico e di ciò risente molto anche la stessa politica che è diventata una mera questione di potere, proprio perché solo le ideologie consentirebbero di superare e integrare il senso del potere per il potere. Ovviamente gli intellettuali non possono non risentire di una tale situazione e anche la tendenza, di cui prima parlavo, a soffermarsi sull'intimismo, sull'autobiografia ne è una conseguenza. D'altra parte va detto che le ideologie novecentesche hanno dato una pessima dimostrazione di 'prassi', il comunismo è un disastro, il socialismo è un disastro, non parliamo poi del liberalismo, per cui perfino la democrazia oggi ha dei grossi problemi dovendosi confrontare con delle realtà economiche nuove che la sovrastano e quindi deve in qualche modo ripensarsi.

MDP: In proposito Edoardo Sanguineti negli ultimi anni mi accennava al fatto che si è man mano attenuata, fino a dissolversi, la coscienza di appartenere a una classe. È una spia secondo lei della crisi delle ideologie?

DM: Ormai penso che le classi non esistano più nella concretezza della storia. La stessa classe operaia, che costituiva il nucleo della coscienza di classe, con la robotizzazione della produzione si è frazionata e dispersa, ed è scomparsa. Con la sua scomparsa è scomparsa anche la percezione, la sensazione di appartenere ad una classe. Cosa è rimasto di soggettività operaia, oltre la robotizzazione?  Sono rimasti tecnici e quei pochi operai superstiti non hanno più alcuna coscienza o interesse ad appartenere ad una classe. Insieme alla classe operaia non c'è più neanche la classe borghese. La società è cambiata anche nelle contrapposizioni storiche: i nuovi poveri sono gli anziani, sono i giovani precari che non riescono a trovare lavoro. Queste divisioni passano attraverso le vecchie contrapposizioni tra borghesia e proletariato. Tanto per dire la stessa borghesia si è nel complesso indebolita. Esistono oggi i ricchi e i poveri, questo sì, esistono i sempre più ricchi e i sempre più poveri. È cambiato tutto e anche la politica deve riflettere e creare dei nuovi progetti per il futuro parlando di questi cambiamenti, ma purtroppo non è ancora avvenuto.

MDP: In questo contesto mutato non pensa che gli intellettuali oggi tendano a rimanere estranei, a non impegnarsi prendendo posizione?

DM: Sinceramente no, non credo. Il problema è che non c'è quel clima, il clima delle ideologie condivise. Soggettivamente gli intellettuali esprimono anche un desiderio di partecipazione e condivisione, ma siccome non c'è quel clima, non c'è quella organicità di pensiero, quella unione di obiettivi, quella comunità di intenti, allora anche gli intellettuali sono dispersi, diventano solitari. Però non possono farlo, non possono 'impegnarsi' da soli, non basta la singola volontà, è un clima che si deve creare, un clima in cui ci si senta parte di una comunità e si possano creare progetti per il futuro. Questo però è possibile solo se si è in molti a farlo, non solo gli intellettuali, in quanto come detto il singolo non può riuscirci, non può da solo mettersi a creare progetti per il futuro. Non può farlo ma può cercare, lui o lei che sia, di intercettare il clima del momento. Quindi non me la prenderei con gli intellettuali, anche perché Daniele Ronco, ieri sera, era pieno di passione, di voglia di cambiamento poiché criticava la società del consumo. Ha avuto un'ottima risposta dal pubblico pur non essendo il suo lavoro parte di una ideologia, di un comune pensiero. Oggi è così, ciascuno singolarmente cerca e propone.

MDP: Riguardo al Festival “Teatro sull'Acqua” che va a concludersi qui ad Arona, ha qualcosa in particolare da aggiungere a quanto sin qui detto?

DM: Nulla in particolare. Quest'anno il tema è stato la poesia, e quindi l'importanza del suono e della voce. Oggi quasi nessuno legge più la poesia, e se lei andasse da un editore le direbbe che ormai non vende più libri di poesia, però la poesia detta, o declamata come vuole, quella passa. Quindi bisogna fare molte più letture di poesia perché la gente ama sentire, ascoltare la poesia e non leggerla, e in questo c'è una differenza con il passato. Dentro però a un festival che è di Teatro, in cui dunque il teatro c'è, e incide.

Nel salutarla non posso fare a meno di percepire quella sua tipica e rara forma di semplicità che è il modo forse più diretto per avviarci verso il senso profondo delle cose.