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Sono rari i momenti o le occasioni, in questa nostra convulsa e frenetica, o forse solo ottusamente impegnata a 'disperdersi' dissolvendosi in rete, contemporaneità, in cui ascoltare ciò che ci sta a fianco o sull'orizzonte della vita e in cui guardarsi dentro. Lo spettacolo che ieri, 2 ottobre, ha inaugurato la stagione del Teatro Nazionale di Genova è uno di questi rari momenti ed è stato capace di mostrarci e suggerirci sentimenti essenziali, semplici perché prima o oltre ogni artificiale complessità, del vivere in noi e con noi, alcuni tratti cioè di quell'amore per la vita e la natura, che talvolta transita tra animali e bambini, e che dovrebbe sempre appartenerci ma che sembra al contrario abbandonato. È, in questo, efficace e a mio parere condivisibile la scelta di Ugo Dighero, anzi la sua doppia scelta, a partire dal testo, una selezione da una scrittura del poeta spagnolo Juan Ramon Jiménez premio Nobel nel 1956, che sembra lontano nel tempo e nello spazio mentale di una arcadia oltre o prima

della modernità, e che invece dimostra paradossalmente di avere e conservare agganci con il tempo della nostra storia e delle nostre storie, richiamate con sorpresa ad una dimensione purtroppo dimenticata.
E poi la scelta della cifra della messa in scena, un melologo lo definisce, in cui oltre la melodia la parola sembra trarre nuova forza significativa dalle musiche per chitarra e voce narrante del compositore Mario Castelnuovo – Tedesco, in un reciproco mescolarsi che rafforza il fascino del transito scenico e ne facilita approccio e condivisione.
Al centro di tutto, della capacità di comprendere e dunque della capacità di amare del poeta e dell'uomo che siamo anche noi, c'è un asinello, Platero appunto, vera guida quasi virgiliana nel viaggio attraverso la vita, ispiratore e contrappunto di una crescita intima in cui la natura recita con i personaggi, bambini e gitani, madri e figli, di una rappresentazione che ha la morte come unico suo apparente confine. Infatti anche la morte di Platero è solo l'inizio di un nuovo viaggio tra le praterie del cielo.
Non una lettura, ne nasce una vera e propria drammaturgia in cui Dighero non legge ma è bravo nel  recitare le parole del poeta e nel piegarle quasi, nelle tonalità talora sfumate talora aspre, talora comiche talora commosse, ad una sintassi figurativa e fin pittorica.
Insieme a lui in scena il chitarrista e amico Christian Lavernier ne interpreta e asseconda le tonalità narrative in un insieme drammaturgico di grande effetto.
Una produzione del Teatro Nazionale di Genova, dal testo di Juan Ramon Jiménez, per la regia e interpretazione di Ugo Dighero e Christian Lavernier alla chitarra.
Un esordio di stagione positivo, al teatro Duse dal 2 al 6 ottobre. Buona affluenza e molti applausi.