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“Ormai l'inverno del nostro scontento / s'è fatto estate sfolgorante ai raggi di questo sole di York”.  L’inverno del nostro scontento, quello del nostro futuro, invece, non ha sole. Un grande schermo a forma di finestra, proietta immagini di panorami, dapprima il mare, poi il cielo, i colori vivi, comunicano serenità... a mano a mano che gli eventi evolvono, tutto diventa sempre più grigio e scialbo. Il grande schermo mostra la sua verità, persino il pannello dei fili elettrici è scoperto. Marjorie Prime, di Jordan Harrison, nella resa scenica di Raphael Tobia Vogel, convince per la qualità artistica, per i messaggi poetici che la regia è riuscita a trasmettere con leggerezza, senza appesantire un testo che dice già tutto: una parola scenica tagliente e profonda. Molte le tematiche in campo: l’Alzheimer e il rapporto fra umani e intelligenza artificiale, la paura della morte e il desiderio di immortalità. Marjorie, ha ricordi confusi, incerti come le persone malate di Alzheimer, trascorre la sua giornata parlando

con un replicante, Prime, una copia ringiovanita del marito morto, si aggrappa ai ricordi per sostenere la sua memoria lacunosa. La figlia e il genero vivono la vicenda in modo diverso, la figlia in conflitto con l’intelligenza artificiale, il marito ne vede, invece, le potenzialità. La scena rappresenta un soggiorno, arredato in stile minimalista, sullo sfondo la grande finestra schermo, davanti una maestosa poltrona in stile arcaico, sembra quasi un trono, su cui Marjorie siede, commenta, ricorda e si prede gioco degli altri; a volte in penombra, a volte illuminata da un fascio di luce. Memoria umana e memoria artificiale si confrontano continuamente. Ma cosa ci rende umani se le macchine arrivano ad assomigliarci e a ricordare? Intorno all’evento teatrale si sono svolti incontri interessanti sul rapporto fra gli uomini e i computer. Ancora una volta il Teatro Franco Parenti promuove cultura. Gli interpreti mirabili. Intensa e sensibile Ivana Monti nelle espressioni, negli sguardi, nei toni. Elena Lietti, Pietro Micci e Francesco Sferrazza Papa, compagni di scena all’altezza della prova. Prima o poi Marjorie morirà ma il suo passaggio all’altra vita accadrà senza alcun segnale perché resterà Prime, il suo alter ego, la sua memoria artificiale, costruita con i ricordi che ogni personaggio “detterà” a Marjorie. Ecco come sconfiggere la morte. Ma cosa resterà dopo questa vittoria? Un pannello video tristemente consumato dal tempo, un acero completamente spoglio e tre replicanti falsamente sorridenti. Chi ci salverà? La musica, le note dell’Inverno di Vivaldi che nel finale dominano la scena, perché se esiste l’inverno delle nostre vite, la musica ci aiuta a rielaborarlo: anche l’inverno a suo modo può portare gioia, basta saper vedere.

Milano, Teatro Franco Parenti, 16 Novembre 2019
Marjorie Prime
di Jordan Harrison
traduzione Matteo Colombo