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Si è concluso al Verdi di Padova, un bel teatro ad alveare simbolo di tradizione italiana aperta da sempre alla innovazione, il percorso 2019 del “Premio Rete Critica” giunto, in continua crescita,alla sua nona edizione. Quest'anno ha visto, tra prima e seconda fase, il coinvolgimento di ben 33 blog e/o siti web indipendenti di informazione e critica teatrale, ovviamente noi di Dramma.it compresi, che fanno di “Rete Critica” e del suo Premio un osservatorio sensibile, diffuso su tutto il territorio nazionale, in grado di intercettare fermenti, ipotesi, tendenze e quant'altro navighi nel mare contemporaneo,  e a volte sotterraneo, della drammaturgia italiana e del teatro in genere. La scelta, proprio per questo, non è stata facile quest'anno ma, poiché in un premio un vincitore è indispensabile, la giuria ha inteso sviluppare una buona discussione intorno ai finalisti, selezionati dopo la prima fase chiusa il 20 settembre e che è giusto qui ricordare:


Miglior/Compagnia Spettacolo: Davide Enia – L'Abisso, Silvia Gribaudi – Graces, Dom – L'uomo che cammina, Il Mulino di Amleto – Platonov.
Miglior progetto-organizzazione (Premio Sandra Angelini): Teatro dei Venti – Moby Dick, Mutaverso Teatro – Erre Teatro, Festival Testimonianze Ricerca Azioni di Teatro Akropolis.
Miglior progetto-comunicazione: Fattoria Vittadini, Spettatore Professionista – Stefano Romagnoli, Compagnia Frosini/Timpano.

Alla fine hanno prevalso le realtà che seguono, con le singole motivazioni che hanno guidato e alla fine convinto a maggioranza la giuria:

Miglior percorso artistico o di compagnia: DOM – L’uomo che cammina
Un progetto pluriennale che incrocia la ricerca letteraria, gli studi sul paesaggio, la filosofia e l’affondo performativo. Attraverso articolate indagini sulle specifiche di ogni contesto, L’uomo che cammina è un viaggio nel tessuto urbano e nei suoi spazi “incolti”. Approssimandosi a luoghi ipoteticamente più distanti dall’antropizzazione, la realtà quotidiana viene via via destabilizzata e resa artificiale tanto quanto i nostri sogni, portandoci dentro abbazie e piscine, al margine di laghetti e dentro a discariche fumanti, al cospetto di ragazze che cantano rapinose canzoni d’amore incontrando gang di periferia. La realtà così torna vivida, come quella di un sogno al primo mattino.
Il soggetto e l’oggetto dell’esperienza teatrale sono tecnicamente trasposti in uno spazio dove la drammaturgia nasce e cresce vicino ad entrambi, dove è possibile produrre quella peculiare sfasatura e l’indecidibilità tra finzione e realtà quotidiana. Senza però mettere da parte una precipua tensione politica che permette agli spettatori-camminatori di riappropriarsi dello spazio pubblico, prendendo sul serio l’enorme complessità del paesaggio e della città.

Miglior progetto-organizzazione: Teatro dei Venti – Moby Dick
Una piccola compagnia teatrale, attiva alla periferia di Modena, decide di affrontare una delle crisi che incontra inevitabilmente qualunque percorso artistico rilanciando con un progetto complesso, ambizioso, utopico: un grande spettacolo di piazza ispirato al “Moby Dick” di Hermann Melville, centrata sulla imponente scenografia mobile immaginata da Dino Serra e affidata alla cura progettuale di Massimo Zanelli. Nasce così una imponente nave che diventa la terribile balena bianca, animata da decine di attori-danzatori-acrobati-musicisti, con il coinvolgimento anche dei “non-attori” con cui lavora abitualmente la compagnia: detenuti, immigrati, bambini. Nel corso di 4 anni, superando complessità economiche, realizzative, logistiche, nasce una coproduzione internazionale che porta il “Moby Dick” del Teatro dei Venti in una lunga e prestigiosa tournée (in verità più all’estero che in Italia). Il progetto coniuga creatività artistica e organizzativa con modalità inedite per l’Italia e che possono costituire un interessante modello produttivo.

Miglior progetto di comunicazione: Fattoria Vittadini – Festival del silenzio
Una compagnia che porta avanti azioni culturali e artistiche dalla natura dinamica in forte ascolto con le necessità del contemporaneo. In particolare con il progetto Festival del Silenzio, Fattoria Vittadini ha concretizzato l’intenzione di allargare la proposta e la ricezione dei linguaggi performativi, attraverso la creazione di una piattaforma attenta all’accessibilità e all’inclusione, che riflette sui limiti dei consueti meccanismi di comunicazione fino a sradicarli. Una messa in discussione delle convenzionali relazioni performer-spettatore che si fonda su un rigoroso spostamento del proprio punto di vista.

Esaurita qui la giusta comunicazione, per così dire, istituzionale, della intensa due giorni, il 5 e 6 dicembre, di finali, alcune riflessioni necessarie, a mio avviso, ne vengono sollecitate in una epoca in cui taluni ritengono che la critica teatrale sia in via di estinzione o peggio già estinta, almeno per quanto riguarda la sua tradizionale impostazione e ricerca, oltre il singolo spettacolo e al di là della pura descrizione, a causa, tra l'altro, dell'esaurirsi progressivo degli spazi sulla carta stampata.
Io credo, al contrario, che si sia nel frattempo innescato un processo di trasferimento, anche di molte firme, negli spazi più ampi del web. Del resto quanti ormai, non solo tra i giovani, leggono con continuità e dedizione i giornali cartacei? E quanti invece traggono dal web le fonti ormai privilegiate della propria informazione anche culturale?
Un fenomeno ovviamente che non riguarda solo la critica teatrale ma che consente, secondo me, di poter continuare a caratterizzare quest'ultima, grazie ai nuovi spazi, con le due caratteristiche che devono, insieme, contraddistinguerla, la democrazia da una parte, che veicola l'espressione del pensiero, immettendolo in una più ampia condivisione, e dall'altra la riflessione, cioè la capacità e la possibilità di approfondire e selezionare oltre la velocità del medium.
La rete, e Rete Critica con essa, può essere un modo, se usato con accortezza, per recuperare e preservare una tradizione che da Gramsci e Gobetti fino a Franco Quadri ha fatto della critica teatrale un tramite utile sia all'artista di teatro che al suo spettatore, entrambi coinvolti fino alla consapevolezza.
Perché, come scrisse Roland Barthes, “il rapporto che intercorre fra la critica e l'opera è lo stesso che intercorre fra un senso e una forma. Il critico non può pretendere di <<tradurre>> l'opera, e in particolare di chiarirla, giacché nulla è più chiaro dell'opera. Egli invece può <<generare>> un certo senso, derivandolo da una forma che è l'opera”.