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Seduto sulla sua poltrona, sembra un trono ma anche l’ultimo appiglio di un infermo. Rabbioso e sarcastico al contempo. Imponente, appesantito dalla vita e dal vizio. Winston Churchill è stato l’uomo del destino, colui che ha retto le sorti del mondo e le ha influenzate con le sue scelte coraggiose. Ha affrontato Hitler, ha governato l’Inghilterra nei momenti più terribili della storia europea del Novecento e ha gettato le basi per la lunga epoca di pace che è seguita alla seconda guerra mondiale, immaginando per primo il progetto di una Europa unita e prospera. Al Teatro Franco Parenti di Milano (via Pierlombardo, 14) va in scena fino al 19 gennaio “Winston vs. Churchill”, tratto dal volume di  Carlo G. Gabardini, “Churchill, il vizio della democrazia”. Un Churchill ormai anziano ripercorre la propria vita per sprazzi improvvisi, guidato dal senso di colpa per un massacro di soldati subito in gioventù e che pareva lo avrebbe eclissato dalla politica. Poi la rinascita, le vicissitudini della guerra,

i trionfi e il tributo riconosciuto dal mondo. Eppure è tormentato dall’alcol e dalle anfetamine, la vita vissuta come un rally impervio si è trasformata in una paciosa esistenza ritirata eppure infestata dai fantasmi del passato. Ne emerge un ritratto chiaroscurale, nessun santino e nessuna damnatio memoriae, solo la rilettura di un personaggio attraverso il suo essere uomo, fragile e spaventato come tutti noi. Cerca il suo gatto, non vuole prendere le medicine, beve e fuma di nascosto come un burbero, ma poi risplende rileggendo le lettere spedite ai grandi della terra, ai trionfi e alle strategie che furono. Ora spalla ora oppositrice feroce è la sua infermiera, interpretata da Lucienne Perreca (seppur troppo sopra le righe), che diventa il pretesto per un dialogo senza sconti, dove le ragioni della politica si trovano fianco a fianco a quelle dell’umanità.
Giuseppe Battiston si cala anima e corpo nei panni di Churchill e convince per carisma, affaticato arranca sul suo bastone come a vivere nella carne il dissidio mortale del personaggio.
La regia di Paola Rota immagina la semplicità degli spazzi, un non-luogo che rimanda più a uno spazio dell’anima dove confessarsi.
Interessante rilettura di un personaggio storico così centrale, per trasformarlo dalla bidimensionalità a cui lo hanno condannato i manuali storici a un maggiore respiro umano. Probabilmente molte altre pagine teatrali ancora devono essere scritte per rappresentare più in profondità la complessità della figura umana e il suo rapporto contraddittorio con l’esistenza di chi ha avuto accanto a sé.

Foto Noemi Ardesi