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“Le grandi domande di sempre”, scrive di questa sua drammaturgia l'autore, nel foglio di presentazione, ma anche, io credo, le grandi domande che non ci facciamo più, le domande profonde ed essenziali ma dimenticate sulla condizione umana, quelle domande che esistono oltre questa stessa condizione, metafisiche se vogliamo, con termine, ahimè desueto, ma per questo ancora più necessarie. Due esistenze nel chiuso di una situazione che appare senza uscita ma che insieme cercano di declinare il loro tempo nel mondo, i gesti e le scelte che lo condizionano e l'identità che ne consegue. Per poterlo fare ne devono però rifiutare proprio questa meccanica consequenzialità che scivola inevitabilmente in una accettazione che è finta consapevolezza di sé. L'unica libertà che sembra a loro disponibile è il rifiuto della libertà, di un libero arbitrio fatto di regole esterne ed esteriori, una libertà che affida alla scelta e confida nella scelta di una possibilità diversa. Rifiutare sé stessi per essere sé stessi di nuovo e diversamente per salvarsi, singolarmente ed insieme. L'uno sceglie di essere Cristo il salvatore, ma per essere tale l'altro deve riconoscersi come salvato, un novello

Lazzaro, e così riconoscerlo e legittimarlo, perché solo lo sguardo dell'altro ci riconosce e ci legittima.
Un dialogo che sembra sospeso, in un luogo altro, chiuso, incerto e senza sbocchi, filosoficamente quasi pirandelliano, ma solo per la sua sintassi, in realtà così concreto e reale quasi vi precipitasse il mondo, il nostro mondo imprigionato fuori da una dolorosa inconsistenza.
Un limbo quale è in fondo il tempo della nostra quotidianità che sfugge le scelte per non riconoscersi fino in fondo, un limbo per una umanità che non sembra in grado neanche di discernere la speranza ovvero il peccato. Infine la parete si apre e possiamo ritornare nel mondo confidando in un possibile e reciproco umano riscatto.
Michele Santeramo si conferma un drammaturgo interessante e intelligente, con sguardo acuto e scrittura complessa, capace di costruire storie intense e commoventi di parole che strutturano dialoghi e narrazioni.
Un bel testo che, in una scena scarna ma ricca di suggestivi rimandi figurativi e sintattici, la regia di Peppino Mazzotta ulteriormente valorizza.
In scena, con grande efficacia recitativa in mimesi e voce, Daniele Russo e Andrea di Casa sono i due protagonisti che si scontrano e confrontano, prima dentro di loro e poi tra di loro.
Scene e costumi Lino Fiorito, disegno luci Cesare Accetta, aiuto regia Angela Carrano.
Una coproduzione Teatro Bellini – Fondazione Teatro di Napoli, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, alla sala Campana del Teatro della Tosse di Genova, dal 17 a 19 gennaio. Apprezzata.

Foto Salvatore Pastore