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Talvolta, almeno nella mia personale esperienza, ci si imbatte in realtà creative ma anche produttive all'apparenza periferiche e marginali, rispetto alle luci accese e all'attenzione che dedichiamo ai circuiti cosiddetti istituzionali, epperò ricche di una vitalità e, per questo, di una umanità quasi sconcertante. C'era una antica chiesa a pochi passi dalla Via Toledo a Napoli, passata appena Piazza Plebiscito e la galleria San Carlo, una chiesa spagnola promossa da Isabella di Castiglia e dedicata al culto della Vergine del Carmine e cresciuta nella memoria popolare come “il Carminiello di Toledo”, immagine pietosa e miracolosa di un culto proletario. Prima di essere abbandonata e sconsacrata portò come suo nome conosciuto più recente quello di “Congregazione dei 63” dal numero

dei sacerdoti appositamente istruiti per diffondere, tra il popolino, il culto mariano. Così restò abbandonata fino a che la curia locale non la mise a bando per la gestione.
Una chiesa barocca costruita nel culto della immagine e della rappresentazione di cui il gruppo teatrale Quartieri Airots ha immediatamente percepito la funzionalità ad un suo progetto di teatro, un teatro sacro per il culto della parola drammatica, che coinvolge e anche ribalta, un teatro classico per la contemporaneità.
Il gruppo ne ha chiesto, quasi preteso, la gestione, e non è stato facile a quanto mi raccontano, e così quel luogo è tornato ad essere nel 2017, dopo tanti anni di abbandono, un luogo di culto, come scrivono gli stesi promotori con suggestiva sovrapposizione, un luogo di culto teatrale.
Fa piacere poter segnalare, per una volta, una capacità di crescita del teatro in luoghi, come i napoletani Quartieri Spagnoli, difficili e controversi, una capacità alimentata da una volontà personale e da un impegno anche economico purtroppo poco premiati da studiosi, critici e centri culturali spesso molto più attenti ai minimi movimenti del circuito teatrale istituzionale.
Eppure, io credo, il teatro molte volte cresce e si fortifica anche, se non proprio, in quegli spazi, come una pianta tra i pochi interstizi non cementificati.
Così in quegli spazi affascinati, che sembrano creati apposta anche se non lo sono, la vitalità del teatro e dei teatranti trova alimento nuovo e lì nascono spettacoli di grande spessore e livello, grazie  a Salvatore D'Onofrio e Giuliana Pisano che con Emanuele Cocozza quelle idee e suggestioni teatrali rendono cosa viva.
Quartiere Airots-Teatro dei 63 sono dunque l'evidenza della possibilità di legare a sé e di legarsi creativamente ad una comunità, anche quella che appare più indisponibile, sono l'evidenza di quel teatro popolare che, come scrisse Gian Renzo Morteo, “è una esperienza attiva di un singolo inserito in una piccola collettività (attori e pubblico) e sollecitato da uno stimolo fantastico (lo spettacolo) alimentato da temi di interesse comune”.