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Siamo ormai nella seconda settimana senza cinema, teatri, concerti in tre regioni d’Italia, mentre il decreto che chiude luoghi di ritrovo e di cultura si estende a tutta l’Italia fino al 3 aprile.

Decine sono ormai gli spettacoli annullati, e cresceranno nell’ordine delle centinaia nelle prossime settimane, perché la possibilità di tenere aperte le sale mantenendo una distanza di un metro tra ogni intervenuto è di difficile applicazione (e non vale per Lombardia, Veneto, Emilia Romagna). I teatri, grandi e piccoli, fanno il conto dei danni, spesso quantificabili nell’ordine delle migliaia o centinaia di migliaia di euro. Artisti, tecnici, organizzatori, amministrativi sono bloccati, a casa o su posti di lavoro dove non si può lavorare.

Non discutiamo che questi provvedimenti siano stati presi dalle autorità politiche, in accordo con quelle scientifiche, con motivate ragioni. La conseguenza, però, è la desertificazione delle città, l’annullamento delle occasioni di sociabilità e di cultura, il chiudere nell’isolamento le persone, accentuando la paura e la paranoia sociale, fino a propagare, oltre a quella del Covid-19, una vera e propria “infezione psichica”.

Se credessimo nell’esistenza di una «Spectre», di un complotto, potremmo vedere realizzato un progetto che abbiamo visto montare per anni: chiudere gli individui nel particulare, smantellare la società, il senso critico, la cultura dell’analisi, del distinguo, della creatività, della relazione, a favore di un’omologazione in nome della paura.

Che cosa si può fare?

Chiediamo innanzitutto urgenti misure economiche di sostegno ai settori, agli enti e agli individui che operano nella cultura teatrale, in particolare nei comparti più “deboli”, quelli della prosa, della danza, del teatro di figura (senza escludere provvedimenti per le altre realtà): un rinforzamento strutturale del Fus, Fondo Unico dello Spettacolo, al fine di garantire un ammortamento dell’emergenza anche in previsione delle prossime stagioni e delle prossime produzioni per il triennio; e un adeguato intervento  economico extra-Fus, immediato e straordinario,  al fine di sostenere quanti, enti o singoli artisti e lavoratori, operano nel settore spettacolo dal vivo in tutto il territorio nazionale e non solo nelle aree cosiddette di “zona rossa”, fortemente danneggiati dalla chiusura delle sale e dalla interruzione delle attività. Il Fus, infatti, già estremamente contenuto, non può essere il bacino economico da cui attingere economie per contenere l’emergenza attuale.

Un paese senza teatri, senza cinema, senza incontri, senza dibattiti, senza istruzione, o con tutte le attività culturali bloccate o penalizzate, è un luogo che si avvia a una infezione più pericolosa di quella del Covid-19: quella delle menti e delle anime.