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Il 25 marzo del 1300 cominciava, secondo l'accettata determinazione critica, il viaggio di Dante Alighieri nell'al di là, un viaggio all'apparenza solitario o quasi, in realtà, esteticamente se non metafisicamente, eravamo già con lui, uomini e donne del passato, del presente del poeta e del futuro che ora stiamo vivendo oltre settecento anni dopo, perché quell'andare peregrinando era ed è un viaggio dentro l'umanità dell'uomo. Ma in realtà oggi, primo Dantedì, essendo noi una rivista di drammaturgia contemporanea, vorrei entrare in quell'evento, così lontano eppure così vicino come direbbero i versi di una canzone, non direttamente ma con l'aiuto e insieme ad un altro maestro indagatore dell'uomo e del suo tempo, quell'Edoardo Sanguineti che proprio sul sommo poeta scrisse la sua tesi di laurea, inaugurando una vicinanza che, tra momenti espliciti e momenti sottotraccia, lo avrebbe costantemente accompagnato. Vorrei cioè richiamare una delle sue più belle drammaturgie,

quella “Commedia dell'Inferno” che, a fianco e insieme all'altro suo letterario fantasma, il Faust di Goethe protagonista di un altro travestimento di qualche anno prima, rappresentava, come ebbi modo di scrivere, “quasi un ricambiare a domicilio la visita di un Mefistofele forse un po' deludente”.
Fu infatti, quella occasione creativa, una ulteriore ma non ultima prova della capacità insita nel travestire di recuperare alla contemporaneità, nelle forme e nel linguaggio mutate e mutevoli che la caratterizzano, il senso profondo di un testo essenziale e essenzialmente umano.
Innanzitutto esplicitando il valore drammaturgico e scenico di quel testo, nascosto già nel suo titolo, un valore finalmente percepito e strutturato intorno al quale Sanguineti  costruì una sorta di spettacolo che piegava modalità e sintassi della modernità massmediatica al fine di portare in luce associazioni, sintonie e suggestioni che la modernità appunto era in grado così di fare di nuovo e profondamente sue.
E' stato quello un indagare sull'immagine del viaggio, un illustrarlo drammaturgicamente e scenicamente, sulla scia dei suoi gradi 'rappresentatori' nonché in questo impliciti scenografi, poiché come scrisse lo stesso Sanguineti: “teatralizzare Dante, occorre dirlo con assoluta tranquillità, significa entrare in gara con gli illustratori della Commedia...traspositori del racconto in termini visivi, poiché teatro e spettacolo sono, come in etimo, in primissima istanza, discorso rivolto allo sguardo”.
Così tra multilinguistiche e multisegniche bolge dantesche possono emergere, in lacerti ed esplosioni figurativamente sonori, espressioni contemporanee, inserti poetici dagli stilnovisti a Boccaccio e, su su, fino al cinereo Ezra Pound, che insieme accompagnano lo sprofondare, nella memoria e nell'inconscio, ed il risorgere nella consapevolezza, storica ed estetica nella intenzionalità di Sanguineti che assume il mondo interiore e artistico di Dante nella sua prospettiva, di una umanità dolente ma felicemente creativa.
Nel giorno della lettura di Dante, consiglio dunque questa lettura eterodossa ma sincera, questa traslazione visiva che alla forza inevitabile dell'intimidatorio scrivere dell'Alghieri, unisce la capacità disvelatoria, profondamente scenica, del travestimento sanguinetiano.