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Nel mio ultimo racconto uscito su Dramma.it, il flanéur Mario, regista teatrale, tornato da Parigi, si rifugia nella “cuna” del suo teatro, come in uno spazio-tempo di salvezza interiore, di protezione, di conforto. Identificandomi con Mario, mi immagino di passare dal luogo protettivo del teatro all’interno delle mura di casa, che divengono il baluardo contro questo maledetto invasore e distruttore quale è il CORONAVIRUS.  Nel terribile ultimo mese di marzo ho spesso annotato giorno per giorno, come sulle pagine di un diario, pensieri, riflessioni, spunti vari, alcuni dei quali penso possano interessare i lettori della rivista.


9 marzo 2020
Per estensione noi usiamo la parola “teatro” per indicare aree in cui si svolge una determinata azione: teatro anatomico; teatro di posa; teatro di guerra. Mio padre, che partecipò alla seconda guerra mondiale, fronte dell’Albania, raccontava spesso a me appena adolescente, i tanti episodi spesso tragici a cui aveva partecipato, agendo spesso a ridosso della prima linea. E usando a volte la definizione “teatro di guerra”, mi diceva, ad esempio, “e così arrivarono, nel teatro di guerra, una serie di granate, sopra il terrapieno affollato dai miei commilitoni, che li spazzarono via, tra urla, invocazioni inutili di aiuto, intrecciate a nuove esplosioni, imprecazioni, bestemmie…”. Lo ascoltavo, intravvedendo in lui, nell’immaginazione e con l’amore filiale alimentato da una sorta di ammirazione e assieme di compatimento, un eroe! E pensavo che forse mai io avrei resistito ad un’esperienza simile, mai! Di certo il filo della competitività tra padre e figlio si spezzava restando in mano al primo!
Oggi mi sembra che sia arrivato per me il momento del riscatto: stanotte ho sognato mio padre che mi sorrideva, e mi son trovato a dirgli “papà, anch’io sto affrontando una guerra, sai? Lo vedi che non sono proprio così inferiore a te? E ti prometto che, pensando a te, resisterò, si, resisterò in questo “teatro di guerra” del marzo 2020!”.

13 marzo 2020
Incontro, allo svolto della  mia strada in direzione del forno a me più vicino, un ragazzo nero, molto giovane; intuisco che mi tenderà la mano, sto per allungare il mio passo già veloce (il tempo stringe e può esserci un controllo), lui mi guarda dritto nei miei occhi, mentre i suoi di occhi esprimono senza dubbio paura, disperazione, umiliazione, mi dice sottovoce “solo per un caffè”, mi guardo attorno, non c’è nessuno, nessuno che mi giudichi, che mi mandi a quel paese, o che magari avvalli un mio gesto… mi ringrazia e scappa via… mi chiedo da dove sia venuto… mi  chiedo quanti sono i giovani africani in una città come la mia… e come sopravviveranno… nel pomeriggio non oso lamentarmi, con nessuno, spengo lo smartphone non volendo vedere alcun meme beffardamente sdrammatizzante, e penso a quel ragazzo nero…

15 marzo 2020
Accendo il televisore che mostra gli ospedali della meravigliosa città di Bergamo; penso alla statua equestre del Colleoni che vive lì, nella città alta, e spero che i bergamaschi tirino fuori la sua stessa forza, il suo orgoglio… eppure, eppure i morti sono tanti, troppi, e non posso fare a meno di pensare al beckettiano Finale di partita, a quel senso incombente di catastrofe finale, di disfacimento, di puzza di cadavere, di dignità perduta; immagine rincorre immagine nella mia testa stressata: vedo le descrizioni manzoniane della peste seicentesca… torno all’oggi e penso che la causa delle varie pesti sono dei batteri, e il superbo senso di invincibilità che aggalla dal mio ultramoderno subconscio mi ricorda che con un’accurata terapia di antibiotici il batterio viene spazzato via; ma, ahimè, contro i virus e il coronavirus in particolare non c’è cura, ancora non ci sono farmaci sicuri! Cazzo, e dov’è la nostra invincibilità? Penso al romanzo di Cormac McCarthy, La strada, dove un padre e un figlio procedono in uno scenario post apocalittico, sapendo che dentro bisogna avere il senso di un’infinita dignità, quella del vivere dopo essere sopravvissuti.

19 marzo 2020
Oggi diversi fra parenti e amici festeggiano il loro onomastico, e un po’ tutti i padri ricevono gli auguri dai loro figli. Io ho benevolmente rifiutato quelli di mia figlia, biologa-virologa, dicendole che sono io a doverle fare gli auguri, naturalmente al telefono. Io, non padre, ma figlio, della generazione dei babies boomers: circa 70 anni, in Europa, di pace, di boom economico, di pandemie vinte (ad esempio quella della polio), di scoperte scientifiche e tecnologiche inimmaginabili, di liberazione sessuale, di viaggi lunari, di Web, e così via: ma al di sopra di tutto di Pace!
Le ho augurato tutto il bene possibile: l’aria pulita, la fine di ogni guerra, un meno peggior equilibrio fra ricchi e poveri (se non altro per evitare invasioni continentali catastrofiche), una minor sicumera scientifica, una minor superficialità culturale, etica,  sociale, un maggior rispetto dell’ambiente, un maggior controllo del clima… come sostiene Ilaria Gaeta, assieme a tanti altri studiosi e scienziati, senza un equilibrio geo-biologico, l’umanità sarà sempre più minacciata da altri virus.

23 marzo 2020
Il coronavirus vuole una sola cosa: VIVERE ! Verrebbe da dire: poverino, pure lui ha ragione. Non solo, vuole anche CON-VIVERE, altrimenti non potrebbe appunto, da solo, continuare a vivere, senza altri organismi da “sfruttare”. Si può dire, affermano gli scienziati (virologi, infettivologi, biologi, ecc.), che è anche ostinato, poiché la Natura lo ha dotato di un unico filamento RNA che gli consente una maggiore flessibilità e variabilità. Penso che la Vita in ogni caso, in ogni suo aspetto, forma, organismo, sia una forza immane, assoluta, infinita, e in fin dei conti Sacra. Si, lo so, virus in latino significa anche veleno, ma se ci riflettiamo bene il coronavirus attuale se ne stava laggiù fra i pipistrelli, senza far alcun danno alla specie umana, la quale, invece, vuol dominare, invadere, occupare, sacrificare, distruggere anche ciò che si accontenterebbe di convivere con lei, senza bisogno di dargli il minimo fastidio… Leopardi ci direbbe: Natura matrigna!, ma essa replicherebbe: io non bado solo o tanto ai singoli individui, a me interessa la perpetuazioni delle specie e della Vita: è la mia legge alla quale anche l’uomo deve saper obbedire…

26 marzo 2020
Numeri, numeri, numeri: alle ore 18 viene riferito il numero dei contagiati, quello dei guariti, e soprattutto quello dei morti… che strazio! Poi i numeri rimbalzano Paese per Paese per tutto il mondo, e naturalmente crescono! Coi numeri vengono stilate percentuali che gli epidemiologi studiano; i comuni, è il caso di dirlo, “mortali”, come chi scrive, si fa qualche calcolo di percentuali e si accorge che in fin dei conti prima che si becchi il virus ce ne vuole, per Bacco! Sarebbe proprio jella assurda!
Numeri e misure: un singolo coronavirus misura come lunghezza in media qualche centinaio di volte di un solo millimetro, siamo, insomma, ai micron!!! E allora uno s’incazza davvero: possibile che un minuscolo essere visibile solo ai più potenti microscopi elettronici debba mettere in scacco praticamente la popolazione mondiale? E gli prende lo sconforto, il senso di inanità, il sentimento di inermità.
Eppure, a proposito di numeri, merita di essere segnalato il libello di Paolo Giordano, bravissimo scrittore e fisico-matematico, In contagio, che in conclusione ci insegna ad essere non solo intelligenti (unici ad esserlo nel mondo), ma anche umili e rispettosi della Natura e degli altri, e anche di noi stessi!...

30 marzo 2020
Credenti o non credenti in Gesù Cristo, San Pietro vuota, con solo Papa Francesco ad abitarla, è davvero uno spettacolo di ineguagliabile suggestione; anzi è un teatro “senza spettacolo”: pensiamoci: non ci sono in scena effetti particolari; vita e rito si con-fondono: campane della sera e sirene di autoambulanze consuonano, così come vengono; le luci sono quelle della piazza con qualche proiettore in più, e la pioggia, elemento naturale, crea le sue penombre e un’atmosfera a tratti corrusca, a volte invece plumbea,  luttuosa. A parlare solo Francesco, a risuonare davvero solo le sue parole: “ci si salva solo tutti assieme!”.
Dunque piazza San Pietro vuota. E tale aggettivo è ripetuto da tutti: commentatori, spettatori, giornalisti. Ma semanticamente il “vuoto” non è indice di una dimensione negativa, nichilistica, tutt’altro. Si pensi al “sepolcro vuoto” dei Vangeli, che permette la speranza e la visione di una resurrezione. Il Vuoto non è il Nulla tipico dell’ontologia razionalista continentale e occidentale; il Vuoto va inteso secondo le nuove intuizioni cosmologiche dei fisici d’oggi, che tendono a pensare che il Vuoto cosmico prima del Big Bang abbia generato la Materia; se poi pensiamo alle tradizioni buddiste, e orientali in genere,  in cui nulla è assoluto una volta per sempre,  tutto è relazionale per cui il Vuoto è assieme rapportabile al Pieno, e tutte le cose, tendendo al Nirvana, si annullano l’una con l’altra sciogliendo contraddizioni non solo ontologiche, aprendo la strada ai mistici.