Goffredo portò avanti le prove del Pourceaugnac con una certa solerzia, quasi volesse chiuderle il prima possibile, forse, pensava lui, per dedicarsi con attenzione e piena disponibilità a svolgere la psicoterapia appena iniziata. Arrivò con gli attori verso il finale della commedia molieriana, quando il protagonista, beffato da tutti gli altri personaggi, è costretto a fare le valigie per tornarsene, illuso e scornato, al suo paesello di provincia. Quella scena, però, gli provocò un vortice di sensazioni, di tempesta cerebrale, che sfociò, una volta coricatosi a letto per la notte, in una serie di incubi che lo portarono al risveglio antelucano.
Il pomeriggio successivo la scena, secondo il piano della regia, prevedeva l’arrivo appena visibile di una carrozza seicentesca, e, ad ogni passaggio della prova, a Goffredo si sovrapponeva nelle immagini mentali un altro mezzo di locomozione, piuttosto simile a un tram moderno. La scena doveva anche, da parte degli attori, fingere, nel momento dei saluti d’addio, una tenera commozione generale, un po’ di tutti. A Goffredo, però, scesero delle lacrime vere che faticò a bloccare impedendo di divenire preda di un pianto a dirotto, ed evitando domande importune da parte di qualcuno della compagnia.
Tornato a casa raccontò tutto a Rita, che fu brava a non aggravare la situazione psichica ed emotiva di Goffredo, e convincendolo, invece, a telefonare alla Dr.ssa De Lulli per avere un appuntamento appena le fosse possibile riceverlo.
L’incontro fu fissato così per un paio di giorni dopo, con la raccomandazione, da parte della psicoterapeuta, di bloccare nel frattempo le prove, con una qualsiasi giustificazione credibile.
Goffredo è davanti alla De Lulli per raccontarle per filo e per segno gli episodi vissuti.
<<Si ricorda che le avevo suggerito di tentare con uno sforzo di memoria, di recuperare ricordi legati al tempo della sua infanzia e alla vita coi suoi genitori. Lo ha svolto questo lavoro di ricerca?>> fa la psicoterapeuta a Goffredo.
<<Sinceramente non ho avuto molto tempo per farlo, e soprattutto la calma necessaria per pensare, per scavare nella memoria.>>.
<<Allora l’aiuto inizio a darglielo subito io. Dunque, nella scena dell’addio al protagonista molieriano su cosa ha posto la sua attenzione? Sugli attori? sul recitare la loro commozione? Sulla carrozza? Sulle valigie?>>.
<<Direi soprattutto sulle valigie!>>.
<<Ora le chiedo: si ricorda di un qualche viaggio dei suoi genitori, anche uno solo di loro, lei bambino?>>.
<<Dunque, mi faccia pensare… beh, oddio, io so che mio padre è andato all’Estero, per lavoro, esattamente in Colombia, che io avrò avuto circa 5 anni… ma non ho ricordi precisi di quell’avvenimento… mi ricordo solo… ecco, si… i collegamenti radio che curava il Ministero degli Esteri permettendo così alle famiglie di poter parlare a lungo col proprio congiunto: parlo dell’inizio degli anni ’60, naturalmente.>>.
<<… Ricorda poco di questo evento! Ok. Ma non ha in famiglia un altro testimone, ad esempio un fratello, più grande di lei, che può raccontarle qualcosa su tale esperienza familiare?>>.
<<Dunque, si, certo, come no, mia sorella Lucia! Lei aveva, all’epoca, … mi faccia pensareeee… si, aveva 4 o 5 anni più di me!>>.
<<Ci parli, sarebbe molto importante, d’accordo?>>.
Goffredo e Lucia son seduti davanti a due tazze fumanti di tè verde sul divano del salotto di Goffredo; assieme a loro è seduta anche Rita.
Lucia, tirando una boccata bella lunga di sigaretta, dice:
<<Guarda Goffredo, ti assicuro che fu una scena poco piacevole: mamma era distesa sul letto, piangendo disperata; pensa che aveva chiamato da Padova una sua carissima cugina per avere un conforto sicuro! Io ti tenevo in braccio, e guardavamo dalla finestra nostro padre con le sue due valigione mentre andava verso la fermata del tram che l’avrebbe portato in stazione…>>.
<<Ed io>> fa Goffredo <<piangevo?>>.
<<Che mi ricordi no, ma ho stampato nella memoria il tuo sguardo accigliato, fisso sul letto verso la mamma, e mi stringevi fortemente con le manine un braccio…>>.
Quella notte, dopo aver salutato Lucia, Goffredo nel sonno ha rivisto la scena chiaramente, come fosse, però, uno spettatore, quasi estraneo, forse rifiutando gli accadimenti. Nel sogno, pianto e paura e grida si mescolavano in un vortice psicologico assai pesante.
Goffredo è di nuovo davanti alla  De Lulli, e le riporta il racconto di quella notte.
<<Ullalà, abbiamo trovato la chiave, sa, caro Goffredo? Hai finalmente rivissuto quella che gli psicologi del profondo chiamano “scena primaria”. Ti do del tu, va bene? Quel giorno avete vissuto una vera e propria “scena luttuosa”; avviene quando c’è un lutto, un vuoto esistenziale importante, una perdita, che so, di un amico, di un amore; in genere queste sono le cause.>>.
<<Ma io non ho al momento subìto eventi di questo genere!>>.
<<No, certo, ma evidentemente la tua capacità di aderire alla realtà scenica, alla finzione, e di rispecchiarti nella situazione stessa della scena, ha riportato materiali mnestici sepolti nella tua psiche riferibili a quella scena primaria.>>.
<<Bello scherzo del teatro!>> fa, sorridente, Goffredo.
<<Direi che il teatro in questo caso si è rivelato taumaturgico facendo riemergere esperienze dolorose da troppo tempo rimosse. Ora, con qualche seduta, vedrai che il tuo equilibrio tornerà perfetto. E soprattutto non avrai più attacchi di panico.>>.
<<Vuoi farti una risata? Pensavo di andarmene presto in pensione, di ritirarmi in campagna, di lasciare tutto, ma a ‘sto punto amo sempre di più il mio… taumaturgo benefattore !>>.