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Pino Petruzzelli non ha bisogno dei cartelloni che accompagnano i cantastorie solitari, perché la sua è una parola letteraria e drammaturgica straordinariamente figurativa, capace di moltiplicare personaggi e situazioni esteriori, orizzonti e prospettive interiori così da creare la tridimensionalità del narrare, come in uno straordinario pop up. Questa sua ultima drammaturgia, in particolare, non è solo il racconto di una vita, quella di un vignaiolo ligure che rifiuta le sirene della nostra finta modernità per restare abbarbicato ai suoi stretti terrazzamenti e alle sue vigne, ma è anche un indagine ed un giudizio di valore e sui valori del lavoro, tramite e testimone del legame tra uomo e natura e del senso irrefutabile che ne consegue. Basta una sedia su un palcoscenico e subito, con la parola, si

accende il nostro guardare fuori, ad un mondo che ha mutato un po' alla volta connotati, e poi il nostro guardare dentro, ai ricordi e alle suggestioni che mescolano biografia e storia, illusione e desiderio, sogno e perdita.
Perché il lavoro, anche quando amato, è talvolta sudore, fatica e fin tormento riscattato da quel vino che rinasce dall'uva calpestata, vino segno del transitare della vita umana nel suo tempo, nel tempo che gli è dato, e metafora del passaggio continuo tra le generazioni, un passaggio così complicato nel nostro tempo.
Tratta dal suo omonimo libro, la trama della narrazione di Petruzzelli si incista con citazioni letterarie e ricordi personali per costruire un ambiente che riesce paradossalmente a prescindere dal consueto raccontare di sé o attraverso di sé per assumere valori universali.
Il lavoro ed il mondo del contadino, del vignaiolo ligure si mostra così anche nel suo essere famiglia e comunità, troppo spesso dimenticata nel nostro solipsistico vivere contemporaneo, una comunità fatta anche di durezze e fallimenti, ma costantemente condivisi.
Un bello spettacolo che si dipana con leggerezza per oltre un' ora di palcoscenico e in cui si aggrumano e fermentano, come nel buon vino, momenti di commozione e momenti di inattesa speranza, perché in fondo il lavoro si giudica anche da ciò che produce.
Spettacolo che ha esordito nel dicembre scorso e che ha visto, nell'emergenza sanitaria, interrompere le sue repliche. È stato riproposto il 17 giugno al Palazzo Ducale di Genova (rigidamente distanziati) nell'ambito del Festival della poesia, tradizionale appuntamento genovese contemporaneamente inaugurato e voluto nonostante le difficoltà.
Una produzione Teatro Nazionale di Genova e Mittelfest, di e con Pino Petruzzelli, ha ricevuto una calorosa accoglienza, quasi un sospiro di liberazione dopo tanta chiusura.