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Se si pensa alla comicità di Anna Marchesini, scomparsa nel luglio del 2016, pare che i dogmi formulati da Henri Bergson attorno al discorso del riso vengano ampiamente soddisfatti.

Infatti, lo studioso ci dice che non vi è comicità al di fuori di ciò che è propriamente umano. La sensibilità umana che ci accompagna nella quotidianità è, quindi, nemica alla comicità, l'indifferenza, invece, è il suo habitat naturale. Per un comico, quindi, la sensibilità umana deve essere bandita affinché il riso possa prendere il sopravvento in una collettività. La vita e la società, oltre ad esigere un atteggiamento sempre vigile in grado di poter rispondere ad ogni situazione presente, chiedono un abbandono al facile automatismo delle abitudini contratte, cioè una sorta di rassegnazione ad un equilibrio già fondato e strutturato. Ogni rigidità del carattere, dello spirito e del corpo di ciascun individuo, risulta, quindi, una minaccia per la società, in quanto potrebbe essere indice di stasi, di un'attività che, pian piano, si addormenta fino ad isolarsi. Per rimediare all'allontanamento dal centro comune intorno a cui ruota la società, non potendo quest'ultima reprimere materialmente l'individuo, la soluzione si trova in un gesto. Tale soluzione deve essere in grado di alleggerire lo spirito, provare a smussare i caratteri, in definitiva addolcire tutta la rigidità che potrebbe rimanere intrappolata nel corpo sociale. Il riso, quindi, deve essere qualcosa di simile: una sorta di gesto sociale. In esso rincorre, inconsciamente e, in alcuni casi, immoralmente, un'unica meta, quella del perfezionamento generale, istinto innato dell'essere umano. Si può certamente affermare, quindi, che il comico, nato dalle azioni che compromettono la plurisoggettività, equivale alla rigidità nella società, il riso invece ne è la correzione.

Affinché ci sia un effetto comico, è necessario cogliere un meccanismo smontabile all'interno di una persona, individuando, quindi, la persona e il meccanismo. L'effetto è tanto più sorprendente, quanto queste due immagini si inseriscano l'una nell'altra. Il movimento, quindi il gesto, corrisponde al pensiero. Se, però, un movimento si ripete più volte, tanto da diventare una sorta di tormentone della vicenda comica, questo causerà il riso, siamo quindi dinanzi ad un meccanismo che funziona perfettamente. Non si tratta di una riproduzione della vita, ma di un automatismo che si è installato in essa e che la imita.

Cominciamo a divenire imitabili solo quando cessiamo d'essere noi stessi. Se tutti i nostri gesti seguissero i nostri stati d'animo, non si ripeterebbero mai, nessuno sarebbe imitabile. Imitare qualcuno, dunque, significa scoprire una parte di automatismo che egli ha lasciato penetrare nel suo carattere, rendendolo comico.

Nella raccolta di racconti umoristici Moscerine (Rizzoli, 2013), Anna Marchesini si chiede se l’origine del pianeta Terra non sia stata causata dall’esplosione tra il contatto del deretano di un pidocchio con una superficie misteriosa e sconosciuta: non può darsi che all'origine della Terra sia stata la lenta e irriducibile ascesa di un pidocchio al trono e che il Big Bang sia stato scatenato nell'attimo in cui il pidocchio poggiò il suo puntiforme deretano sull'intoccabile velluto che ahinoi! mascherava il caos?

La comicità di Anna Marchesini è ironia, umorismo o entrambi?
Tra i vari generi comici, Luigi Pirandello ci ricorda che l'ironia implica una vera contraddizione tra quello che si dice e quello che si vuole sia inteso. Evidentemente questa lotta tra volontà che crea una contraddizione, è fittizia: l'ironia è sfacciata, irriverente. Il comico ironico manipola sulla grande linea che separa il reale dall'ideale, creando un'opposizione tra quel che dovrebbe essere, fingendo di credere che si tratti di quel che è, intervenendo sulla rigidità sociale. Crea, quindi, un meccanismo.
Si potrebbe, banalmente, dire che l'umorismo è il contrario dell'ironia. La contraddizione dell'umorismo è essenziale e di ben altra natura. L'umorista compatisce le esperienze che narra, prova pietà per il male che esiste in una circostanza. Questa sorta di indulgenza, però, è frutto di una riflessione che si è sviluppata attraverso il sentimento opposto, cioè la riflessione ha prima provocato sdegno, dispetto e irrisione. Nell’umorista, ogni sentimento e ogni pensiero si sdoppia nel suo contrario: ogni sì in un no che assume, infine, lo stesso valore del sì. Il comico umorista può anche fingere di ascoltare soltanto una delle due parti, ma dentro di sé vive il germe del sentimento opposto che, con cautela, si muove nelle parole, fino a sovrastare il primo sentimento, smontando così la serietà e inducendo il riso. Sembra esilarante ma si può dire che l'umorismo è pregno di moralità, all'inizio apparentemente falsa ma, dopo il sopravvento del 'giusto sentimento', ci si trova di fronte ad una trasposizione della moralità.

Il termine moscerine non esiste. Chi lo sa il sesso dei moscerini, ha chiesto Anna Marchesini al pubblico durante la presentazione del suo libro. La parola che dà il titolo alla raccolta allude a piccole cose, elementi non evidenti e insignificanti che hanno, però, il potere di cambiare il corso dell'esistenza o il corso di una storia: piccoli accadimenti che accadono. L'obiettivo dell’attrice, in tutta la sua carriera artistica, è stato quello di insinuarsi dentro al moscerino, l'elemento piccolissimo presente nella vita di chiunque, per scomporlo e vederne la sua potenza. La passione di Anna Marchesini è la vita, o meglio, le storie che parlano delle vite. Infatti, tutti i racconti presenti in Moscerine, descrivono la vita dei personaggi che si sta per compiere, ma basta l'arrivo di un moscerino per sconvolgerla totalmente.
Dell'ultimo racconto di Moscerine, Cirino e Marilda non si può fare, Anna Marchesini ne ha fatto il suo uno ultimo spettacolo, il cui debutto è stato presso il Teatro Piccolo di Milano.
È curioso soffermarsi sulla vita di Cirino che è diventata un inverno perenne, ormai rassegnato alla monotonia. Dopo la pensione, il protagonista cade nel vortice dell’abitudine, stanco delle necessità della vita. La Marchesini, infatti, lancia al pubblico un'osservazione che, personalmente, reputo geniale: si sta in vita per soddisfarne le necessità. Cirino, in realtà, aveva avuto momenti felici ma, dopo la pensione, vive grazie alla vita altrui. Ad un certo punto della sua esistenza Cirino vede, di fronte alla finestra della sua abitazione, una luce che si accende e le pose di una vita che scorre davanti ai suoi occhi. L'immagine è quella di un ragazzo che il protagonista del racconto osserva costantemente. In Cirino è evidente una pulsione irrefrenabile - non corporea - di una vita che non è mai nata e che, però, esiste altrove. Sia in Cirino e Marilda non si può fare, sia negli altri racconti di Moscerine, l'autrice compatisce le esperienze dei personaggi provando pietà per le loro vicissitudini.

Per Anna Marchesini esistono due modi di parlare e ragionare. Il primo è consequenziale, quello per cui la fine del discorso è in perfetto accordo con le premesse iniziali; il secondo, quello più interessante, attorno a cui la stessa attrice ha costruito parte dei suoi personaggi, consiste nella contraddizione, disconfermando – stando alle sue parole - il discorso di apertura iniziale, tanto da dare l'impressione che non si stia dicendo nulla.

Quali sono le moscerine di Anna Marchesini? E quali le sue maschere?
La maschera – in questa riflessione – non è intesa come lo strumento scenico di cui si è servito e si serve l’attore, ma come l’insieme della gestualità di un personaggio, ergo la caratterizzazione. Consapevoli degli studi di H. Bergon e di L. Pirandello che hanno circumnavigato il discorso maschera, il Maestro Dario Fo ne ha delineato e perfezionato le caratteristiche: tutto il corpo dell'attore funge da cornice alla maschera, e ne trasforma la fissità. Ogni attore, quindi, lavora per rendersi conto della propria ambulazione e della propria gestualità, non solo per riuscire a correggersi, ma anche per ingigantire quelle che sono le sue doti positive e per enfatizzare una caratterizzazione, per poi controllarla. È necessario e quasi vitale, per un attore, l'osservazione dell'ambiente circostante e delle persone, quindi, degli ipotetici caratteri. Solo così, dopo uno studio approfondito sulla gestualità e sul modo di pensare di quello che è diventato un personaggio, lo si può mettere in scena. La gestualità è, quindi, espressione viva delle esigenze umane ed, essendo tale, è come se rispettasse il principio del giusto mezzo a cui fa riferimento Dario Fo: bisogna arrivare al massimo risultato con il minimo sforzo.

Anna Marchesini ha inventato più di cento personaggi. Si possono distinguere le imitazioni, le vere e proprie caratterizzazioni sorte dal nulla e quelle attinte dalla vita reale, le ispirazioni dal passato e le novità assolute sempre inventate con intelligenza. L’attrice, memore della sua formazione, ha ricalcato il disegno della manipolazione che i grandi attori avevano fatto su un testo, stravolgendolo e rendendolo, quasi inconsapevolmente, il risultato di un'enfasi esagerata e sopra le righe. Gli attori a cui lei faceva riferimento, in modo quasi spasmodico, erano quelli del Teatro Piccolo di Milano. Da questa osservazione, la Marchesini ha dato vita a gran parte dei suoi personaggi, intrecciati al suo carattere e immersi totalmente nella sua vita. L'attrice attribuisce alla treccia di Juliette (personaggio da lei inventato) un valore simbolico: i personaggi vivono contemporaneamente dentro di lei, uno attorcigliato all'altro e tutti con i loro caratteri, per venir fuori al momento giusto.
Si pensi alla sessuologa Merope Generosa, donna laureata e competente che tiene lezioni di sessuologia. Durante le sue spiegazioni, Merope è completamente invasa dalle sue esperienze personali, tanto da risultare visibilmente imbarazzata e goffa nell'esprimersi attraverso la terminologia legata alla sfera sessuale. Il personaggio è costruito in modo da far intendere doppi sensi o parolacce senza bisogno di dirle esplicitamente, spesso camuffandoli con delle balbuzie oppure non terminando completamente le frasi. Tutto questo è rappresentato senza mai oltrepassare il limite verso la volgarità.

Nei suoi spettacoli, la Marchesini ha parodiato anche le rifatte. Immaginando che la materia plastica potesse far sgorgare dalle loro bocche sia le parole che i pensieri, l'attrice gioca con la volontà che dietro a quelle bocche rifatte si nascondano volti brutti e senza espressione. Viene posta, così, al pubblico la possibilità di uno scaffale di bocche interscambiabili per tutte le occasioni.
In questo caso la risata è immediata perché la rappresentazione è opposta alla realtà: nasce l'assurdità. In riferimento alle bocche, è plausibile che l’attrice abbia pensato a Non io, uno dei dramaticula di S. Beckett. Questo non sorprenderebbe, considerata la grande cultura teatrale di Anna Marchesini e, soprattutto, la sua versatilità nella creazione di un personaggio.
La cameriera secca dei Signori Montagnè è un'aspirante attrice che lavora presso la famiglia Montagnè. Le sue movenze sono il frutto di un meccanismo disconnesso, dovuto alla volontà ostentata di cavalcare l'onda della recitazione che, però, non è per niente realizzata e realizzabile, vista la sua personalità imbranata ed ottusa. Relazionandosi con l'ospite accolto in casa (interpretato da Massimo Lopez) descrive le vicissitudini che accadono tra le mura domestiche. recita in maniera meccanica e ripetitiva, trovando, quasi in ogni parola, un freno nell'articolazione verbale e impicciandosi nelle parole.
Sulla stessa riga della cameriera, Anna Marchesini è diventata anche la Signorina Carlò, la cecata zitella dalla voce stridula che non riesce a trovare marito e si ficca sempre nelle situazioni più strane. Una signorina perbene dall'attitudine grammar nazi, tanto che inserisce sempre i nomi dei segni di punteggiatura durante la conversazione finendo, poi, per incartarsi. Tra le caratteristiche della Signorina Carlò, oltre all'immancabile còfana in testa, spiccano gli occhialetti a farfalla e la tendenza ad incartarsi, anche lei, nella pronuncia delle parole, dando vita a dei veri e propri siparietti fisici di autocorrezione. Uno dei tanti personaggi attinti dalla vita reale è Sora Flora, ripresa dalla verace signora che abitava sotto casa di Anna Marchesini. La Sora Flora è una verace popolana di Orvieto con una sterminata tribù di nipoti ai quali grida incessantemente rimproveri. Affacciata alla finestra con indosso i guanti di gomma, si lamenta in continuazione di tutto e di tutti, dai vicini al marito lavoratore. Genuina e diretta, la Sora Flora è uno dei personaggi più riusciti di Anna Marchesini.
La geniale attrice, dunque, crea l'effetto comico facendo cadere una grande costruzione e dà vita, oltre all'ironia e alla parodia, all'umorismo, partendo dal degrado e dallo svantaggio. L'attrice, così, coglie la comicità nel dramma della vita. Ha definito, infatti, l'umorismo come l'aspetto più diabolico della comicità: guardare attraverso i muri, avere un terzo occhio che sia in grado di cogliere le cose più piccole, quelle più indicibili della realtà.
Secondo l'attrice, il comico non si può spiegare: si fa. La Marchesini parla di senso del comico, come se fosse un senso che fa parte di noi, ma che non tutti posseggono. Fa riferimento a Trofimov de Il giardino, quando, nel secondo atto asserisce che forse l'uomo è dotato di cento sensi e con la morte ne perde solo cinque. Tali sensi sono vitali per percepire cose di cui non conosciamo il nome, altre di cui possiamo appena intuirlo.
L'attore comico è affetto da una ipertrofia della vista, è in grado di vedere, quindi, oltre le apparenze, cogliendo la verità della realtà.
Per la Marchesini il teatro non è finzione, ma rappresentazione. La verità è raccontata attraverso l'indicibile e, se è in contrasto con la realtà, fa ridere.