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Raccontiamo di “Vivere è un'altra cosa”, lo spettacolo che la milanese Compagnia Oyes, ha presentato il 10 ottobre in prima nazionale a Castrovillari nel contesto della XXI edizione di “Primavera dei Teatri”: la regia è di Stefano Cordella, la drammaturgia dell’intero ensemble, in scena ci sono Martina De Santis, Francesca Gemma, Francesco Meola, Dario Merlini, Umberto Terruso. Si tratta delle vicende di cinque personaggi che, nel periodo del lockdown, si sono ritrovati bloccati nelle loro attività, nella quieta quotidianità delle loro vite e, essendo costretti a quella pausa forzata, hanno potuto riflettere con amara ma necessaria lucidità sulla loro condizione presente e/o appena precedente. Ovviamente, si tratta di una riflessione che non può non proiettare un’ombra importante sul futuro. Una condizione che, a guardarla finalmente da fuori, non era così felice e soddisfacente come la si percepiva o ci si imponeva di percepirla. C’è il padre di famiglia frustrato che riconosce la propria

frustrazione insuperabile, c’è la giovane donna single che riconosce l’insostenibile precarietà della sua condizione, ecco l’attore semi-fallito che non ha quasi più voglia di lottare, quindi la moglie che trova il coraggio di guardare in faccia la triste realtà della sua “perfetta” relazione matrimoniale, c’è il single incallito infine, che scopre che forse anche la vita di coppia non sarebbe poi così male...forse. Condizioni esistenziali assai comuni, facilmente riconoscibili dal pubblico. Detta in breve, si tratta di personaggi che scoprono, grazie ai mesi del lockdown, che la loro vita precedente non era così soddisfacente e sensata e quindi potrebbero serenamente valicare questo periodo di isolamento, di stasi forzata, per provare a vedere con occhi nuovi il futuro. Potrebbero… niente più che un fragile condizionale: potrebbero, ma sanno bene che non è così perché è proprio la condizione (umana, politica, culturale, esistenziale) precedente al lockdown che ha deformato/avvelenato le loro/nostre vite, mentre la pandemia altro non sta facendo che mostrarcele in tutta la loro fragilità. Sullo sfondo la riflessione condotta dalla compagnia sull’Oblomov di Goncarov, sui personaggi, sui meccanismi narrativi, politici ed esistenziali di questo capolavoro della letteratura russa: una riflessione su quella voragine di apatia che cattura le persone quando si rendono conto d’essere finite fuori dalle dinamiche esistenziali o forse, meglio, produttive del mondo dei vincenti. Una riflessione importante, che tuttavia appare più dichiarata a priori che realmente praticata e declinata nella concretezza dello spettacolo. L’impressione è che si voglia volare basso, persino troppo basso, e magari incontrare la comprensione e la complicità del pubblico sul piano di una eccessiva semplicità esistenziale e artistica. Certo, ciò che va in scena è ciò che in qualche modo, e più o meno segretamente, abbiamo attraversato tutti, lo riconosciamo ma magari non vorremmo ritrovarlo tout court, senza alcun reale approfondimento di senso, nella creazione teatrale. Si resta in superficie insomma, né convince una certa aria di compiaciuta, sofisticata se si vuole, incompiutezza: non soltanto nelle parole del testo, quanto nella scrittura complessiva dello spettacolo (azione, oggetti di scena – un modellino di palazzo, delle barbie, fondi di caffè -, costumi che sembrano pescati dal disordine di un armadio, movimenti, atteggiamenti, ritmo) che magari non scade nella sciatteria, ma appare modesto.

Compagnia Oyes
Vivere è un’altra cosa
Ideazione e regia Stefano Cordella. drammaturgia collettiva.
Con Martina De Santis, Francesca Gemma, Francesco Meola, Dario Merlini, Umberto Terruso. Aiuto regia e collaborazione alla drammaturgia Noemi Radice. Sound design Gianluca Agostini. Organizzazione Valeria Brizzi e Carolina Pedrizzetti.
Produzione Oyes – La Corte Ospitale, con il sostegno di Teatro LaCucina/Olinda Onlus.

Foto: Angelo Maggio