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L’onda dell’emozione, della commozione  e della tristezza seguite alla morte dell’ultimo grand’attore italiano Gigi Proietti, nel clima sociale psicologico economico  determinato dal Covid-19, mi porta ancora di più, sia per l’aspetto soggettivo della mia età non più “verde”, sia per fattori oggettivi, a considerare il momento  che viviamo, che vive il mondo intero, uno snodo, un “salto”, un cambiamento epocale per l’umanità intera. Mi sembra che ormai il passato faccia parte, rubando le parole a Stefan Zweig, scrittore mitteleuropeo austriaco vissuto a cavallo tra Otto e Novecento, a “Il mondo di ieri”. Vengo però a stringere l’obiettivo sulla nostra amata arte del teatro. Ora, con la scomparsa di Gigi Proietti, mi sembra di poter dire che davvero abbiamo alle spalle il mondo di ieri, soprattutto, evidentemente, per quanto riguarda il teatro. In questa riflessione, come ho fatto anche negli articoli della ribrica "Osservatorio teatro", intendo considerare fatti, idee, personaggi del teatro come

strumenti per osservare la vita, la realtà, considerando, però, il teatro, o “i” teatri, non come “specchi della vita”, che ripetono mimeticamente la vita stessa, ma come punti di osservazione che la invertono poeticamente per rintracciare significati, direzioni, sensi alla fatica umana del vivere e del trasformare le condizioni di vita.
Mi chiedo oggi, però, se questo nostro specchio del teatro non rifletta che un’immagine del mondo frantumata, o “liquida” (v. Zygmunt Bauman), e se esso stesso specchio non sia anch’esso frantumato, facendo parte inevitabilmente del mondo della vita. Proietti nella sua grandezza e nel suo essere uomo del proprio tempo, ovviamente, ha capito che doveva anche farsi attore di cinema e televisione (cosa ben diversa dall’agire sulla scena del teatro). Grande, soprattutto perché mi pare che già da tempo in realtà siano sempre meno gli attori e le attrici capaci di alta professionalità in ciascuno dei tre campi: certo, i vantaggi economici penalizzano l’espressione e la professione teatrali!
A pensare non superficialmente  il teatro è proprio un’arte del “mondo di ieri”: difatti deve cercare sempre la sua “originarietà”, non la originalità; è stato messo in minoranza proprio da cinema e televisione ( e stessa sorte è condivisa dalle altre arti dal vivo, o “al” vivo, come afferma Nando Taviani). Per tale ragione necessita di essere sostenuto dai contributi pubblici, sempre che una comunità voglia preservare lo spettacolo teatrale (e quello di danza, e quello musicale…); e sempre che non si perdano via via i potenziali nuovi spettatori delle ultime generazioni.
Nel teatro di ieri, del “mondo di ieri”, quello nostro s’intende, generalmente si celebrava un rito sociale, o culturale, o para religioso (Pasolini, Testori), e si intrecciavano fra loro cultura “alta” con cultura “bassa”; spesso è stato, e lo è ancora, un teatro di svago, di divertimento, utile a passare una “piacevole serata” (Campanile). Ma, pur sempre, i teatri hanno funzionato e sono sopravissuti grazie alle prebende pubbliche. Ed ora, nel mondo “dopo”, il Covid-19 lo spazzerà via? Può essere, come può essere che tanti altri aspetti del nostro Sociale vengano messi brutalmente da parte.
Cosa dire, cosa suggerire dunque ai potenziali nuovi attori e attrici, ai nuovi drammaturghi, registi, scenografi, musicisti, danzatori?
Innanzi tutto suggerirei di non dimenticare il teatro di ieri: questa arte, quando lo è perché non asservita alla sole leggi dello spettacolo, non può far a meno della tradizione intesa come una ricchezza che si tramanda, che è “trasportata” da ieri a oggi a domani; Gigi Proietti è davvero parte di tale grande consolidata ricchezza.
Poi suggerirei che, se la scena deve comunque essere specchio, ed osservatorio del vivere, che però inverte, deforma, inventa nuove forme, i nuovi artisti della scena devono trovare appunto nuove forme che tengano conto di come rendere al vivo, e partecipare a persone-spettatori concreti e fisicamente presenti, lo stato di frammentazione in cui consiste gran parte del “mondo d’oggi”; e allora penso agli individui che sono costituiti da più “io”, e dai vari “tu” che incontrano, spesso senza accorgersene; penso alle famiglie, ai nuovi stati di famiglia, dove si rompono equilibri, scoppiano conflitti, si dissipano energie positive, il tutto per l’onnipresente, invasiva e massiva “superficialità” del vivere oggi, di contro, io credo, alla maggior serietà del “mondo di ieri”; penso alle fratture fra continenti, aree, Paesi, dovute a democrazie appunto “frantumate”, “liquide”; e penso ai divari estremi di natura economica e finanziaria, inaccettabili tra varie zone del pianeta, tra gruppi etnici diversi, che rischiano di vivere in perenne contrasto, e in speranzose ricerche di miglioramenti di vita lungo le contrade del mondo d’oggi.
Insomma, inviterei e chiederei con grandi speranze, di immaginare e rappresentare un mondo capace di inventare rinnovate forme di vita, non solo per il ben avere, ma soprattutto per il ben essere dell’umanità, ricomponendo le fratture e consolidando, asciugando, la liquidità del nostro mondo.