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Più che uno spettacolo è stata una suggestione, una suggestione forte e intima richiamata già dal titolo che appare come un invito alla speranza, anzi l'attestazione di una prospettiva verso l'orizzonte, che speriamo ora più vicino, di una riapertura dopo l'oscurità del nuovo blocco dello spettacolo dal vivo. Nel luogo che è simbolo riconosciuto da molti della cultura e dello spettacolo italiano, la Scala, e intorno a quello che è forse lo spettacolo più italiano di tutti, l'opera lirica per un giorno di nuovo riconosciuta e riconoscibile come teatro cantato, il 7 dicembre Davide Livermore, regista ancora una volta a Milano, ha costruito un evento scenico che ha saputo amalgare lirica e prosa, danza e canto, tenuti tutti insieme dal filo di una messa in scena riccamente multimediale, talora rutilante e liquida tra i colori e i riflessi di una scenografia delle luci che voleva essere sguardo e insieme indagine psicologica. Un insieme che è riuscito a richiamare i segni e i riferimenti più popolari di un'arte capace di farsi

comprendere dai più e soprattutto in cui, come un tempo, sapersi riconoscere e saper discriminare con talento e competenza lontani da ogni atteggiamento elitario. Una prima dunque inconsueta, non solo musica (era programmata prima del blocco una Lucia di Lammermoure di Donizetti) ma bensì, attorno al canto intrecciato nelle arie più famore e, appunto, popolari, della tradizione, anche recitazione radicata in richiami e riferimenti poetici e narrativi, ed infine squarci di grande danza, dalla più classica ad incursioni nella modernità coreutica.
In ogni campo protagonisti di spessore da Placido Domingo e Rosa Feola, a Roberto Bolle e Laura Marinoni, per citarne pochi tra i tanti, un ensemble di valore cui è mancata solo una cosa, il pubblico e la sua presenza.
Un evento questo, infatti, che ha voluto e saputo rimettere in moto almeno per un giorno quella prestigiosa macchina, fatta di arte e di artigianto, di competenze rare e faticose, tra sarte, falegnami e tecnici vari di scena, che è un grande teatro e che rischiamo di dimenticare ovvero che rischia di essere dimenticato.
Certamente era percepibile, quasi a pelle, il vuoto di platea e palchetti, un vuoto in cui, si sa, rischia di perdersi e vanificarsi lo sforzo creativo degli artisti, quasi a precipitare nel buio come si diceva, una sensazione che nessuna diretta televisiva o streaming può surrogare.
Ne era consapevole il regista, ne erano consapevoli il direttore Riccardo Chailly e i professori di orchestra e ne erano, come detto, consapevoli attori, cantanti, ballerini e tutte le maestranze, per cui questo evento, che la RAI ha comunque saputo valorizzare, ci è sembrato non un impossibile sostituto di ciò che ci manca ogni giorno di più, la presenza che è l'anima dello spettacolo dal vivo, bensì qualcosa che è stato capace di rinnovare ed accentuare, spero proficuamente, quella stessa profonda nostalgia.
Perché, come è stato detto più volte ma è giusto ribardirlo una volta di più, il teatro e lo spettacolo dal vivo sono un ingrediente essenziale di una società equilibrata, non solo superficiale intrattenimento come qualcuno sembra continuare a pensare, ma un suo ineludibile e insostituibile nutrimento.

Foto ANSA