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Nell’ambito del progetto Lingua Madre, del Lac di Lugano, è possibile assistere al viaggio compiuto dai giovani allievi della Scuola “Luca Ronconi” del Piccolo Teatro di Milano.  Gli attori con recitazione asciutta e credibile, dialogano con la camera a mano della regia e si apre un mondo fatto di miti e realtà. Fra personaggi mitici che diventano reali e personaggi reali (come il piccolo Alfredino) che diventano miti massmediatici, Carmelo Rifici racconta il difficile rapporto tra “linguaggio verbale e fisico, tra vittima e carnefice, tra parola e gesto. Una parola scenica tagliente ed incisiva. Un viaggio nel tempo, un flusso di coscienza che si sviluppa in un continuo gioco di riflessioni e specchiamenti che lo spettatore è invitato a seguire, grazie ad un sottile filo rosso che rievoca personaggi mitici o realmente esistiti intorno al tema del capro espiatorio”. Rifici è l’autore e il regista di «Ci guardano – prontuario di un innocente», dieci monologhi in cui la parola drammaturgica scorre come un flusso verbale senza sosta, nata dall’urgenza di raccontare l’essenza del teatro che vive all’interno della relazione fra osservatore ed osservato. C’è sempre qualcuno che ci guarda mentre noi ci illudiamo di guardare altri, in questo vive, lo smarrimento

continuo del Teatro Contemporaneo, ora che tutto è svelato, ora che tutto è perso, occorre guardare oltre le forme di rappresentazione che vogliono mummificare il teatro, facendone un uso utilitaristico senza pensiero, senza alcuna struttura armonica. Nel video che non è un rito, che non è un film, i personaggi dialogano col mito e il verbo si fa carne: una Figlia, Isacco, Ifigenia, Emily Dickinson, Gesù, Concetta (una donna di Napoli), Artaud, Alfredino Rampi, l’Infanta Margherita, raccontano il loro mondo interiore ma anche il loro rapporto con la storia, con il mito, con l’arte. Nel sito del Lac è possibile leggere l’intero manifesto del progetto Lingua Madre a cura di: Lorenzo Conti, Angela Dematté, Riccardo Favaro, Carmelo Rifici, Francesca Sangalli, Paola Tripoli, è un progetto molto ampio che comprende frammenti di visioni, un elenco di suggestioni che apre spiragli a campi di ricerca più vasti; una dichiarazione di intenti. L’obiettivo è quello di creare tavoli di confronto che diano corpo ai quesiti riportati nel manifesto. Solo accettando il fallimento in cui siamo sprofondati potremo muovere ipotesi di prossime realtà.  Gli ideatori del progetto, riflettono su un aspetto che ci riguarda tutti: siamo entrati nel momento in cui siamo soli ma non possiamo più riflettere da soli, oltre ogni forma contemporanea di individualismo e narcisismo occorre un lavoro corale, per capire in che modo uscire da tanto buio. Tutto ruota intorno a una ricerca che è anche una domanda: qual è la nostra Lingua Madre? Come muoverci in mezzo al caos di questo eterno presente? Non esistono ricette e nemmeno risposte, esistono processi in atto per chi vuol mettersi in cammino come fa l’ultima attrice nel lavoro di Rifici: attraversa un corridoio in cui vediamo animali imbalsamati, una natura mummificata, per arrivare infine in un’ampia sala con un pianoforte, la musica, quella delle note, quella delle parole, ci aiuterà ad attraversare ogni inatteso salto di specie. Quale messaggio cogliere? Ognuno troverà il suo, perché la “buona parola recitata” (quella di Rifici lo è, sgorga dalla fonte dell’urgenza), deve far riflettere, deve, anche a distanza di tempo spingerci verso un cambiamento fuori o dentro di noi. Dal buio in cui sono immersi i personaggi dei monologhi, alla luce degli spazi luminosi e ampi, il ciclo del mito si conclude: che l’umanesimo diventi umanità saggia, in un dialogo continuo e onesto con la natura o taccia per sempre.

Lac Lugano, 21 Marzo 2021