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Si può vivere da reclusi restando fuori. Ce lo ha insegnato questo tempo cattivo. Lo ha insegnato a chi aveva scelto il suo grembo al di fuori delle mura domestiche, in altre mura non meno domestiche che non sono quelle di casa. Gli attori e i variamente ostinati di quella cosa che si chiama teatro sono tra loro, insofferenti a quell’altra cosa che si chiama -mi pare – streaming o piattaforma virtuale: una cosa che ha ben poco  a che fare con la virtù dove qualcuno crede si possa fare teatro. Ma a parte queste trovate degne del più ridicolo analfabetismo funzionale,  la lontananza forzata ha agito su due fronti, opposti e complementari: alimentando la nostalgia e permettendo alle brutte esperienze di decantare, disponendoci ad accogliere con rinnovato entusiasmo la bellezza di un’ora e mezza di teatro duro e puro. Duro come la tigna di resistere, puro come la gioia piena e perfetta di ritornare. Ce l’ha dispensata Paola Quattrini con uno spettacolo che non è solo una lezione esemplare di recitazione, ma un modo di intendere il proprio lavoro di artista. Si fa al massimo grado quel che è possibile. E quel che è possibile è recitare di fronte a una platea dimezzata, ma recitare comunque. Convertendo progetti che richiederebbero un concorso di

forze ora impossibile in esperienza possibile, che in questo caso è un monologo ripreso anche per la fortuna di chi a suo tempo se  l’era perso.
Oggi è già domani, commedia in due atti di Willy Russel tradotta e adattata da Iaia Fiastri, nasce come spettacolo diretto da Pietro Garinei nel 2003 e la stessa regia è testimoniata nell’attuale ripresa, al Teatro Manzoni di Roma fino al 23 maggio, che suona anche come un tributo di Paola Quattrini al suo regista, scomparso il 9 maggio di quindici anni fa.
Bene: questa signora della scena sembra un’energica ragazzina opportunamente travestita, che dà vita a una casalinga frustrata tra i cinquanta e i sessanta, nella quale molte donne potranno onestamente riconoscersi e, perché no?, cavalcarne la rinascita.
Eh sì, questa è anche e soprattutto una storia di rinascita. La storia di una svolta e di una presa di coscienza che da individuale diventa collettiva, estesa a una categoria tutta: quella delle mogli trascurate, delle madri abbandonate, delle donne di mezza età lasciate sole in ciabatte e vestaglia a cucinare frittate e a parlare coi muri. E Dio solo sa quante donne hanno imparato a sfogarsi coi muri.
Ma poi per fortuna ci sono le amiche e sono spesso migliori di quanto non le si  immagini.
Ma non è tanto del testo che mi preme dire, se non che è una parabola fitta di battute e di personaggi affrescati che si affacciano tra il muro della cucina di una casa di provincia e i pensieri che si rincorrono nella testa di una povera donna che di nome fa  Dora Valenti. Mi preme dire di lei, anzi di chi la accompagna prestandole lo spirito.  Che è qualcosa di più di una voce e un corpo ammaestrati a dovere. Lo spirito è in quello spazio segreto dove nessuno ti vede se non i muri e le rocce che hanno imparato a star zitti e a non fare la spia. Tra loro e il tavolo di formica verde, tra loro e il mare di un’isola greca, tu sei libera di essere, dire, pensare, fare il verso al marito, agli amici, alle amiche, ai figli e agli amici dei figli con quella esse buffissima di un bambino dell’asilo alla recita di Natale. Sei libera di bere tutti i goccetti di vino che vuoi, di prepararti per la vacanza che hai sempre sognato, di accettare l’invito di uno sconosciuto gentile che ti porge finalmente uno specchio diverso. Lo spirito è lì,  in  quel groviglio inafferrabile di accondiscendenza e durezza, che attende soltanto di essere sciolto. Ma occorre qualcuno davvero capace di liberarlo, di tirare i fili e le fila di sentimenti buoni e cattivi, di emozioni  riposte, di desideri repressi, dimenticati, risvegliati senza avvertirti. E lo deve fare nel momento opportuno, a tempo, con le pause, i silenzi, le apnee, le virate di tono, il ritmo che accelera o si interrompe di colpo; qualcuno capace di scivolare dal pianto al riso in pochi secondi, di evocare con una semplice contrazione del corpo o una rotazione del capo, una serie di tic, abitudini, manie, ripensamenti. Si ride e sorride in questo spettacolo, e ci si commuove. Entrando con Dora e il commento musicale di Armando Trovajoili in spazi sospesi di grande lirismo.
Avevo già visto Paola Quattrini impegnata in un monologo, molti anni fa. Si intitolava L’attesa e ne conservo un gran bel ricordo. Ma questa volta è qualcosa di più, è qualcosa che molti attori e attrici non dovrebbero perdere.  
La canzone Oggi e domani è cantata da Serena Autieri. Costumi di Silvia Frattolillo, orchestrazioni di Maurizio Abeni.

Oggi è già domani
di Willy Russel
Con Paola Quattrini
Regia di Pietro Garinei
Al Teatro Manzoni fino al 23 maggio