La morte e la fanciulla

“Il teatro rinasce con te”, recita il nuovo slogan del Campania Teatro Festival 2021 (ex NTFI Napoli Teatro Festival Italia) che anche quest’anno mantiene la direzione artistica di Ruggero Cappuccio e che coinvolge, anche nella denominazione, l’intera regione. Non è facile ricominciare, il teatro che rinasce è stato colpito dalla pandemia, dalla crisi economica, colpi mortali che hanno indebolito e affondato quel vascello artistico che già da anni navigava in acque impetuose, lesionato da falle mortali e irreparabili. Anche il logo di questo Festival riporta un viso con ramificazioni dalle prospettive rigogliose. Quest’anno i colori delle locandine, dei gadgets, dei manifesti, delle brochure sono esplosivi, ma le strade della città di Napoli sembrano rimpiangere i cartelloni giganti e a tema che accompagnavano, in passato, i cittadini e i turisti dal debutto del Festival fino alla sua conclusione. Anche gli spettatori ritornano in platea e il Festival si svolge, secondo norme, all’aperto, occupando quest’anno varie aree degli splendidi spazi della Reggia di Capodimonte, dalla cui altura si scorge un meraviglioso panorama di Napoli. Termometri e mascherine alla mano, siamo pronti al debutto: quest’anno scegliamo di seguire il lungo testo di Ariel
Dorfman, nella traduzione di Alessandra Serra, per la regia di Elio De Capitani. Per la prima volta dopo tanto tempo – non solo pandemico, ma anche antecedente al 2020 – ritroviamo in scena la testualità. Lo spettacolo, dal titolo “La morte e la fanciulla”, è finalmente testo: scena scarna, poche sedie, molti bicchieri e bottiglie volutamente vuoti, tre attori, un telo bianco in fondo. La corposità del testo e della recitazione di tre magnifici attori – Enzo Curcurù, Claudio Di Palma e Marina Sorrenti – riempie il palcoscenico, gli occhi e le menti degli spettatori: non è necessaria una regia articolata, né una scenografia strabordante. Ritornando agli albori del teatro ritroviamo, dunque, ciò che abbiamo sempre avuto a disposizione: la voce, l’intensità recitativa, un testo forte, le emozioni, la politica, la scelta tra amore e potere, tra dignità e sopravvivenza, tra coraggio e paura. Le tragedie greche ritornano nella lingua dei totalitarismi e delle dittature contemporanei. In effetti, la tragedia dei tre personaggi è antica e moderna, l’intensità femminile dell’attrice ricorda Medea, Fedra e soprattutto Antigone.
Il tema dei desaparecidos è stato trattato da molti autori e da giovani compagnie (indimenticabili gli spettacoli della Compagnia Instabili Vaganti) sotto vari aspetti, in varie epoche e in riferimento a numerose dittature. Il testo di Dorfman, autore cileno, è datato 1991, debutta in quegli anni a Londra, approda sugli schermi cinematografici nel 1995 grazie a Roman Polanski, è pubblicato in Italia da Einaudi nel 2004 in traduzione: ricordiamo che la dittatura di Pinochet, in Cile, ha visto la sua conclusione proprio nel ’90. L’autore fornisce, invece, una collocazione atemporale e a-geografica, come suggeriscono le didascalie, che recupera il senso storico e universalistico alla base degli scritti greci antichi. Il potere legato alla violenza, ma soprattutto alla violazione dei Diritti Universali dell’Uomo, persiste e sopravvive nei secoli dei secoli. Al centro la donna.
Ritorna prepotente la “Poetica” di Aristotele: se vogliamo citare qualsiasi rimando ad ogni autore, in questo spettacolo è necessario partire proprio dalle leggi aristoteliche sulla tragedia. Unità di luogo perché la vicenda si svolge nella casa dei due coniugi; unità di tempo grazie allo svolgimento in unica giornata i cui momenti sono scanditi attraverso l’indicazione di tempo proiettata sul telo; unità di visione attraverso il tema del potere che distrugge tutti.
«La verità vera» ripete il dottor Romero, personaggio ambiguo, catapultato all’interno della casa dei coniugi Gerardo Escobar e Paulina Salas, lei, quindici anni prima, rapita e torturata dal regime, lui, difensore dei deboli e rivoluzionario, designato a far parte della Commissione d’Indagine che dovrà punire questi crimini. Unica clausola: si potrà indagare solo sui morti, non sui torturati sopravvissuti. La donna è in preda al delirio, alla sete di vendetta perché purtroppo esistono anche i morti sopravvissuti, i peggiori testimoni della storia. La vicenda vissuta da Paulina è il cardine fondamentale dell’intero spettacolo: attorno a lei si alternano, come attratti e respinti da una calamita, il marito e l’anziano medico. Quest’ultimo, Romero, entra in contatto con questa famiglia fortuitamente – o volutamente! – e l’intero spettacolo dipana pian piano tutti i particolari della narrazione, tutti gli angusti segreti e le mancate verità, accompagnando il pubblico che segue in assoluto silenzio, rapito, attento, per un’ora e cinquanta minuti.
Ambiente serrato e interno, nessuna ambientazione esterna se non attraverso elementi narrati, immaginati o suoni evocati. La prigione in cui è stata torturata la donna si ripresenta metaforicamente e visivamente all’interno della sua casa, come una trappola per topi in cui è rimasto invischiato il suo aguzzino.
Lo spettacolo è propriamente testo e parola, dicevamo, tanto che il regista Elio De Capitani, affiancato da Nadia Baldi, sceglie di far recitare e narrare le didascalie. Negli ultimi anni spettacoli e studi si sono soffermati sull’importanza, non solo testuale ma anche scenica, delle didascalie, soprattutto di quelle che assumono una natura narrativa e che si integrano e intersecano perfettamente nel testo, vivendo attivamente anche sulla scena.
La parola scritta e pronunciata viene anche proiettata sul telo bianco attraverso la confessione dell’aguzzino. La «verità vera» continuerà a ripetere Romero, espressione in cui un aggettivo riesce a scarnificare il peso e il valore di una parola. Se si sottolinea la sua veridicità, forse la verità raccontata al mondo fino a quel momento non è mai stata veritiera.
Altro elemento cardine su cui giocano e si incastrano i personaggi è proprio la verità: il pubblico alterna continuamente la sua propensione nel credere all’uno o all’altro personaggio.
La parola viene anche sottolineata acusticamente: gli “a parte”, i monologhi, le riflessioni che porteranno all’apice tragico, sono amplificati attraverso microfoni collocati in proscenio, scelta abusata negli ultimi anni e spesso mal utilizzata, ma qui smorzata grazie all’escamotage delle aste che si piegano in orizzontale quando non sono utilizzate dagli attori, evitando di coprire la scena con un oggetto che non è parte integrante dell’ambientazione, ma è strumento della parola.
Ogni frase è recitata con sfumature e pesi diversi, attraverso uno studio attento e straordinario che viene riprodotto in scena grazie alla vocalità degli attori e anche attraverso la loro fisicità che recupera ogni singola caratterizzazione del personaggio nel corso dell’evoluzione dello spettacolo. Pertanto, è doveroso sottolineare la bravura di questi tre attori e, in particolare, un plauso speciale va a Claudio Di Palma, che interpreta magistralmente il medico Romero, personaggio complesso, sfaccettato, ambiguo, di difficilissima interpretazione, ma fondamentale.
In questo spettacolo non ci sono vincitori, ma tutti sono vittime di un potere malato. Il colpo di scena finale sposta gli attori tra il pubblico, attraverso una scelta meta teatrale narrata ancora una volta dalle didascalie finali e, poi, resa azione dal regista.
La musica di Schubert accompagna lo spettacolo, soprattutto durante alcuni momenti atroci in cui i flashback delle torture, quest’ultime narrate brevemente anche con particolari violenti, tormentano Paulina. Il titolo dello spettacolo, infatti, riprende quello del quartetto d’archi del musicista austriaco: dialogo ossimorico tra la fanciulla, simbolo di vita, e la morte che incombe all’interno degli studi degli intellettuali e degli artisti romantici europei.
Foto Salvatore Pastore – ag Cubo
LA MORTE E LA FANCIULLA
Campania Teatro Festival 2021
12-13 giugno 2021
Cortile della Reggia di Capodimonte, Napoli
di ARIEL DORFMAN
TRADUZIONE ALESSANDRA SERRA
REGIA ELIO DE CAPITANI
AIUTO REGIA NADIA BALDI
CON ENZO CURCURÙ, CLAUDIO DI PALMA, MARINA SORRENTI
SCENE E COSTUMI CARLO SALA
LIGHT DESIGNER NANDO FRIGERIO
SOUND DESIGNER IVO PARLATI
DATORE LUCI ENZO GUIDA
MACCHINISTA GIULIANO GARGIULO
FONICO RAFFAELE FIGLIOLIA
SARTA PAOLA DE LUCA
DIRETTORE DI SCENA ERRICO QUAGLIOZZI
PRODUZIONE FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – CAMPANIA TEATRO FESTIVAL, TEATRO DI NAPOLI – TEATRO NAZIONALE, TEATRO DELL’ELFO