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La caduta di un Dio che comincia dalla cesura del suo nome, che perde le iniziali ad indicare e privilegiare l'umanità che da sempre rappresenta. Il dio doppio per eccellenza, vita e morte, maschio e femmina, così profondamente carnale da diventare espressione estrema di una spiritualità perturbante e conturbante, di cui le freudiane frequentazioni appaioni solo palllidi riflessi di un inconscio inesprimibile, come i misteri celebrati e recitati sul monte Tabor. Recuperare il mito, nella sua essenza primigenia, feconda e fecondante, è una operazione difficile ma di una straordinaria modernità, l'unica utile a ridare unità ed identità ad una umanità smembrata in cui la vita sembra essersi dissolta e ormai priva di sangue. Questa drammaturgia tenta dunque, se vogliamo, l'improbabile e, niccianamente, l'inattuale attraverso la

reincarnazione del dio sulla scena, un dio uomo che vaga tra le città alla ricerca di una origine condivisa, celata e soprattutto negata. Lo fa soprattutto recuperando, nel suo delimitare, transitando nel qui e ora, i limiti della scena, il senso iniziale e l'energia del teatro che, da tempi lontani, di quel dioniso, amputato della sua divinità, si alimenta. Nel ripercorrere le tappe di una vita errante, dal monte natale, a Babilonia, all'Egitto e al racconto di Tebe, la scena centrale è appunto quella dell'approdo a Ilio e, di fronte ai Troiani pronti a morirre, della rappresentazione della loro morte. Il teatro che anticipa la morte e nel contempo preserva la vita dei suoi protagonisti, come una madre, la madre Ecuba che finalmente abbraccia e accoglie quello spirito orfano e errante.
L'esito scenico di questa scrittura, polimorfa e mutante, è efficace nella regia e anche nella recitazione, coerente e coinvolta ma anche capace del distacco dell'epos omerico, della distanza per riflettere su se stesso, così che, forse, lo stesso travestimento, un po' demoniaco, è apparso in fondo superfluo e talora ingannevole per una natura così complessa come quella che si cercava di intercettare.
Uno spettacolo comunque apprezzabile, profondo e coinvolgente, molto e meritatamente applaudito.
Una produzione del Teatro Libero di Palermo, ospite di Lunaria Teatro, appuntamento del 22 luglio con il Festival “In una notte d'estate”, diretto da Daniela Ardini, che anche quest'anno arricchisce la genovese Piazza San Matteo.

OYNISIO'S DREAM OVVERO ONYSIO IL FURIOSO, di Laurent Gaudé con Giuseppe Pestillo, traduzione italiana Simona Polvani. Regia, scena e paesaggio sonoro Luca Mazzone.