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Si sta guadagnando un ruolo nel circuito estivo nazionale, questo Festival nato periferico, nel senso migliore della parola a indicare il suo non essere già 'incorporato' in un sistema, e capace cioè di approfondire aspetti del teatro inattuali ma insieme straordinariamente 'moderni'. Quasi, per utilizzare un efficace paradosso, uno sperimentare l'antico, un ribaltare la tradizione senza uscirne, anzi valorizzandola. Questo in fondo è 'connessioni', non solo reti e cablaggio di un intero borgo, esperienza unica nel panorama italiano, ma anche legame con il passato, con il tempo che fu ma che è, tuttora, un presente irrinunciabile, nella magia forse un po' ingenua del fare un teatro che guarda avanti, in movimento. È stato questo il segnale principale e l'evento centrale di tutto un festival giunto alla XXIII edizione, iniziato il 25 luglio e (apparentemente) terminato il 31 luglio. Ha occupato tra il 30 e il 31 luglio l'intero borgo di Lari, coinvolto nei suoi talora struggenti panorami e nei suoi attivi abitanti, pronti e disponibili, alla

prima chiamata, a contribuire con la loro presenza e la loro intelligenza al progredire di una scena diffusa, di quello che è stato definito un palco dislocato, capace grazie alla tecnologia applicata live, di ricondurre in un unico luogo teatrale, nella contestualità e nella contingenza, altri luoghi, un altrove, azioni che precipitano e si sovrappongo, amalgamandosi al senso complessivo della rappresentazione.
Presentato lo scorso anno in forma di prototipo, questa volta il palco dislocato ha accolto in prima nazionale un nuovo spettacolo, il cui titolo è anche l'esergo dell'intera manifestazione.

Tempo InFausto
Dislocazioni, fusioni e sovrapposizioni, dunque non solo come grammatica dello spettacolo, cablato e diffuso tra presenza e virtualità, ma anche come sua sintassi estetica, come narrazione che coinvolge un passato che, l'essere divenuto mitologia moderna, trasforma in presente e rende disponibile per un futuro meno oscuro. È una sorta di tragedia antica, celebrata, senza essere una biografia, intorno ad un eroe, il grande Fausto Coppi, rapito da un destino appunto infausto, ma anche capace di ribaltarlo trasformandolo in flusso di vitale comunicazione. Un mito che mentre si celebra si fa diffuso e quindi oltre il tempo, diventando in un certo senso permanente. Di questo parla la drammaturgia e la sua lingua onirica e fiabesca, di quella pulizia caratteristica di Loris Seghizzi, che firma la drammaturgia, che rende lo sguardo finalmente limpido, senza infingimenti e falsità, ideologiche o meno. Mentre sul palcoscenico della piazza principale di Lari, dunque, quattro attori, tre musicisti in carne ed ossa e cinque personaggi imbalsamati aprivano il rito scenico, hic et nunc, ologrammi irrompevano da un chissà dove contestuale, per arricchire di nuove suggestioni la narrazione, magari inseguendo una gallina che prendeva forma e sostanza appena entrava sul palcoscenico. Il tutto reso coerente dal testo, evocativo come detto, che si fondeva con spontaneità nei movimenti e nella mimica, nelle sonorità e nella ritualità. Un spettacolo ben condotto, con qualche immaturità ancora da superare e armonizzazioni da creare, ma capace di valorizzare un contesto scenico innovativo. Una strada interessante, da seguire.
TEMPO INFAUSTO a cura di “In Compagnia dei Fragili”, soggetto e regia Cesare Inzerillo, drammaturgia Loris Seghizzi, con Eros Carpita, Iris Barone, Marco Sferruzza, sculture Cesare Inzerillo, musiche Valerio Buscetta, suoni Lello Analfino, sax Manuel Vanni, contrabbasso Mauro Giannaccini, batteria Tommaso Panicucci, scenografie Cesare Inzerillo e Nicola Sferruzza, costumi Marilena Manzella. Produzione Contemplazioni.
Lo spettacolo è stato preceduto, e in un certo senso prefato, da altri eventi. In primis l'esito dei cinque giorni di laboratorio curato da Civilleri/Lo Sicco e Scenica Frammenti per under 18 toscani e siciliani. Definito una “incursione urbana” Aiace, questo il titolo, trasfigura la tragedia sofoclea immergendo il protagonista nella prigione della rete (una Dea sovrapposta), che lo bullizza come un moderno adolescente, suggerendo che cambiano i modi ma non i sentimenti, ma anche che nella rete c'è una crescente deresponsabilizzazione dei comportamenti che ne enfatizza man mano la violenza. Non è sfuggita la notevole qualità del lavoro rigoroso svolto con questi giovani, pur sempre non professionisti, che ha consentito di trasferire loro il senso profondo della parola tragica e antica che andavano a portare in scena, a incarnare in una sintassi attuale che ben conoscono. Una recitazione che, come deve essere, è anche apprendimento, acquisizione di valori artistici e non solo. Tutto questo era ben percepibile nell'esito scenico. A seguire due bei concerti, “Blessing Fire” di Luigi Mattielo sul castello di Lari, e poi “SAM Studio Open Doors” a cura della banda Mc Nick & Fabulous Brothers, evento anch'esso diffuso e dislocato, tra la sala di registrazione e piazze virtuali, che ripropone il tradizionale “organ trio” dei bar e club americani degli anni 50 e 60. Un passato anche questa volta ri-dislocato al presente, dunque.
A chiusura di Collinarea 2021, infine, si è tenuto un interessante incontro pubblico intorno alle tematiche fondanti della manifestazione, cioè l'incrocio tra nuove tecnologie e arte performativa. Un dibattito aperto a diversi contributi, in cui la comunità teatrale non solo locale, la polis dunque, si è potuta confrontare soprattutto con sé stessa, in quello spirito profondamente democratico che assume le contrapposizioni e le elabora in condivisione. Partecipanti ed idee sono state le più varie e diversificate, spesso partendo da esperienze e punti di vista anche distanti, ciascuno soffermandosi su aspetti specifici, dall'estetica del tempo virtuale, all'impatto delle nuove tecnologie sulla comunicazione in generale, e sull'arte in particolare, alle innovazioni di linguaggio consentita dalle tecnologie digitali, agli spazi che tali tecnologie aprono. Contributi tutti approfonditi, con sguardo aperto al futuro. Tra le altre cose è stato per me importante evidenziare, come già Walter Benjamin sottolineava a metà del 900, che le nuove tecnologie vanno innanzitutto approfondite, per poter essere manipolate e utilizzate con la dovuta appropriatezza. Infatti si è assistito, in questi tempi di necessità, quasi ad una corsa al digitale da parte di uomini e donne di teatro, spesso dettata da una urgenza anche economica che non ha consentito di percepirne in modo adeguato le ricadute. In particolare è essenziale ricordare che il teatro è innanzitutto presenza, carne e sangue dell'attore in scena, è contingenza, è l'hic et nunc che fa si che ogni spettacolo sia unico e sempre diverso ad ogni rappresentazione. È una condizione, quella dell'attore di teatro posto di fronte e in relazione con le persone del pubblico, che le tecnologie non sono in grado di replicare. Come ricordava lo stesso Benjamin l'attore cinematografico, e ora televisivo, si relaziona innanzitutto con una macchina, con un dispositivo mediatico. Dunque le nuove tecnologie, la rete e il digitale, sono linguaggi efficaci se relazionati e subordinati alla natura intima del teatro, al suo linguaggio che è presenza nel presente della scena, un linguaggio tra i tanti linguaggi che da anni, è stato ricordato, il teatro utilizza. Tutelare tutto ciò, ha ricordato il Prof. Ventura, con e oltre le diverse tecnologie, ha una efficacia non solo artistica ma anche scientifica, sulla salute mentale e fisica delle persone, sulla loro aura personale. Molti gli episodi che lo dimostrano, a partire dalla cura degli infartuati, grazie alla musica o alla voce degli attori. In particolare, mi scuseranno gli altri, voglio al riguardo citare l'intervento di Sabino Civilleri, che da attore vive la scena, il quale ha sottolineato che l'esperimento di Lari ha consentito di avviare una sorta di drammaturgia plurale, di mettere in collegamento in modo stimolante luoghi diversi in presenza contestuale, preservando dunque l'essenza della rappresentazione. Sono pertanto per lui tecnologie che irrobustiscono ritmo, sensibilità e corporeità della recitazione e che ne eccitano la creatività. In conclusione, è mia opinione che bisogna ricordarsi sempre che, niccianamente, il teatro è Dioniso, incarnazione continuamente ripetuta, è un processo di conoscenza che attraverso il rito illumina le zone oscure della mente e dello spirito.
Hanno partecipato il Prof. Salvatore Tedesco, docente di estetica, la Professoressa Simona Brunetti, docente di Discipline dello spettacolo, la Professoressa Anna Maria Monteverdi, ricercatrice in digital performance, Barbara Minucci, giornalista esperta in innovazione digitale, Gabriele Bonvicini, musicista, il Prof. Carlo Ventura, in collegamento dalla Svizzera, e la scrivente. Ha moderato Piero Chianura, giornalista, musicista e compositore. Era presente l'Assessora alla cultura del comune di Casciana Terme/Lari Marianna Bosco. Sono intervenuti, tra gli altri, gli attori Sabino Civilleri, Giovanna Daddi e Dario Marconcini.
A Lari, antico borgo di Casciana Terme in provincia di Pisa, organizzato dalla Compagnia Scenica Frammenti che lì ha sede, e diretto da Loris Seghizzi.