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Per il terzo anno consecutivo spunta il Prato Inglese sul palco del Teatro Carignano e porta sulla scena un'opera di Shakespeare: questa volta Molto rumore per nulla, con l'ottima traduzione

e adattamento di Emanuele Aldovrandi (nome di spicco della drammaturgia italiana).
La bellissima regia è di Silvio Peroni, regista conosciuto e apprezzato per il talento, l'impegno, il grande lavoro e la passione che investe nei suoi spettacoli, che con grande umiltà definisce "solo commedie".
Una regia vivace e di carattere, attenta e precisa, di quelle che fanno godere la visione non solo con la pancia ma anche con l'intelletto. In alcuni passaggi dodici attori in scena, quadri in contemporanea e azioni programmate al millimetro (nel ritmo e nello spazio) guidano con sapienza l'occhio anelante dello spettatore.
Elegante estetico visivo, uno spettacolo che in alcuni tratti si fonde con il concerto, forse per alleggerire le due ore e un quarto con intervallo, che comunque scorrono frizzanti. L'elemento sonoro accompagna la scena, interagisce con le parole e in alcuni casi ne fa da contrappunto, in un dialogo che amplifica e moltiplica i significati.
La scenografia racchiude in un scatola magica la storia, con al centro solo sedie o sdraio trapuntate, all'occorrenza. Pannelli di plexiglass scorrevoli alla giapponese, alti fino al soffitto, sono l'elemento lineare e minimalista che si illumina di luci fluo e colori, sovrapponendo a quella suggestione di concerto anche l'immaginario asettico e zuccherino di una casa di Barbie, dove altrettanti Barbie e Ken si muovono ruggenti come fossero a un party del Grande Gatsby. Il tempo sospeso, la grana della scena, l'entusiasmo dei colori hanno richiamato alla memoria le atmosfere da crociera del libro "Una cosa divertente che non farò mai più", di David Foster Wallace.
Ottimo il cast di attori, che sostengono la performance a ritmo di cavalcata e con energia sempre spumeggiante. Spiccano Jacopo Venturiero (Benedetto), completamente in parte, e Sara Putignano (Beatrice), magnetica nella scelta di puntare sull'energia maschile del personaggio per evidenziarne il disallineamento con lo stereotipo di femminilità dell'entourage.

Molto apprezzati i lazzi e gli scherzi da commedia dell’arte (storicamente Shakespeare e Commedia dell'arte condividono il XVI secolo), che trasformano Benedetto in uno Zanni rocambolesco, che poi farà il suo monologo con uno sfilatino di pane in mano, e alludono ironicamente all'incontro sessuale quando a lui si affianca Beatrice con la forma del triangolo per richiamare al pranzo.
Molto divertente il travestimento in giardino che escogita Beatrice per ascoltare la cugina, e una bella nota di merito al gruppo delle guardie: decisamente clownesco nella struttura scenica e nell’immaginario visivo. Per i più tecnici: è possibile perfino rintracciare la gerarchia clown di Bianco (comandante), Anti-augusto (assistente) e gruppo di Augusti (i semplici).

Le atmosfere divertenti e leggere creano forse uno scalino con alcuni passaggi necessariamente drammatici del testo nel secondo tempo, ma quasi non ci si fa caso, lo spettacolo è godibilissimo nonostante la durata, piacevole alla vista e rinfrancante per il cuore. Per quel nulla che sono l'amore e le beghe d'amore, che tutto sommato sono tutto ciò che ci riempie le giornate e di cui, in fondo, abbiamo davvero bisogno.