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Si è chiusa la ventitreesima edizione del SUQ, festival e insieme luogo di incontro e scambio a Genova, al Porto Antico. Un appuntamento la cui tradizionale e profonda attenzione al mlticulturalismo e alla ricchezza ovvero alle opportunità, non solo ai problemi, che nascono dalle migrazioni del terzo millennio, assume ancor più significato di fronte a quanto sta accadendo e potrà ancora accadere intorno all'Afghanistan. Del bilancio complessivo della manifestazione daremo un cenno in seguito, mentre quello della rassegna “Teatro del dialogo” si è arricchito di un ultimo spettacolo assai interessante e ancora una volta, in senso lato, coerente:

F. PERDERE LE COSE
Affrontare il diverso, di cui oggi il migrante è metafora quasi ossessiva, non è facile, soprattutto se si vuole evitare la facile scorciatoia della sociologia o dell'approccio umanitario (ormai questa è una politica complessa) in cui talora nascondere la distanza che si vuole mantere per non affrontare problemi più profondi. Questa drammaturgia ha il pregio di prendere il problema “di sbieco” ma per andare dritta ad un punto, quello della nostra intimità irriducibile ad una vera apertura e della ipocrisia che coltiva, accuratamente celandola.  Non dunque una storia di migrazione, ma quella di una perdita in cui un migrante incappa suo malgrado e con tutti i suoi problemi, per diventare così metafora di una condizione esistenziale che riguarda tutti. Una strada traversa in fondo alla quale scopriamo che il migrante è uno di noi, uno come noi, non è un “diverso” (il nero) che va certo aiutato ma in fondo lasciandolo nella sua condizione 'altra'. A prezzo di farlo scomparire e di rintracciarlo solo come una voce che ci imbarazza. In fondo l'umanità attestata e dunque resa concreta da un 'documento', che alla fine ricompare e con lui il nostro protagonista. Il tema dunque non è cosa ci fa lui qui di fronte a noi, ma cosa ci facciamo noi, qui di fronte a lui. Così possiamo scoprire di noi quello che facciamo fatica ad accettare. Una drammaturgia intelligente, ben scritta ed il cui sguardo indiretto che scopre il mondo quasi al di là della volontà dei presonaggi/drammaturghi, ha ricordato nella sua modalità certi approcci di Edoardo Erba ad esempio in “Animali nella nebbia”. Appropriato il richiamo, dopo lo spettacolo, alla proteste per il green pass, quasi che la necessità di un documento per potere fare qualcosa, su cui molti protestano, non fosse una condizione che, nel migrante, vive da tempo accanto a noi senza suscitare scandalo, anzi. Una prova importante nella ricerca in corso di questa giovane compagnia bolognese. Bravi i protagonisti in scena e tra questi una citazione particolare per F che, quando è comparso, ha dimostrato una presenza scenica assai efficace e magnetica. Un vero attore naturale.
Di Kepler-452 (Aiello, Baraldi, Borghesi, Longuemare). Con Tamara Balducci, Nicola Borghesi, e da qualche parte F. Regia Nicola Borghesi, dramaturg Enrico Baraldi, luci Vincent Longuemare, spazio scenico Vincent Longuemare e Letizia Calori, costumi Letizia Calori, video Chiara Caliò, musiche Bebo Guidetti, suono Alberto Irrera, assistente alla regia Michela Buscema. Produzione ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione.

IL 23° SUQ, la festa come lo ha definito la direttrice Carla Peirolero, si chiude dunque con un bilancio molto positivo, non solo dal punto di vista artistico ma anche da quello organizzativo, con l'aumento delle presenze, dei contatti e degli ospiti, pur con un budget contenuto. Un successo in questo anno post restrizioni, e nonostante le restrizioni che restano, che è in grado di canalizzare una maggiore consapevolezza collettiva, non solo locale, sui temi delle migrazioni e dei contatti tra culture che devono tornare ad essere aperti e fecondi come sono sempre stati nei secoli.