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Luglio 2020, Napoli Teatro Festival, prima assoluta, appuntamento mancato. Chille de la Balanza tornano in scena a Napoli e aprono la stagione 2021/2022 del Teatro Stabile di Innovazione Galleria Toledo; occasione importante per assistere allo spettacolo Napule ’70, osservando dal vivo un pezzo di storia del teatro napoletano e italiano. Ho “conosciuto” questa compagnia attraverso un viaggio documentario e saggistico, contenuto all’interno dei due volumi pubblicati da Pacini Editore nel 2018 e nel 2020, in occasione dei quarant’anni della legge Basaglia (M. Brighenti, P. Clemente, F. Corleone, A. D’Arco, P. Dell’Acqua, C. Orefice, E, Pellicanò, Pazzi di Libertà. Il teatro dei Chille a 40 anni dalla legge Basaglia, Ospedaletto-Pisa, Pacini Editore, 2018; M. Brighenti, C. Ascoli, Napule ’70. Chille de la Balanza, Ospedaletto-Pisa, Pacini Editore, 2020. Per una recensione ai volumi cfr. https://www.centrostuditeatro.it/2021/06/guida-galattica-per-i-lettori-giugno/). Volumi indispensabili per

comprendere il processo evolutivo di questa compagnia, il loro viaggio dalla Campania alla Toscana, lo studio e la sperimentazione all’interno dell’ex manicomio di San Salvi. La compagnia, infatti, risiede a San Salvi dal 1997, quando l’ex Direttore del Manicomio, Carmelo Pellicanò, chiuse l’OPG secondo la legge, dopo aver seguito per anni gli studi di Basaglia e le sue proposte.
Lo spettacolo, in scena dall’8 al 10 ottobre presso lo storico teatro napoletano, ha un sapore diverso ed è interessante osservarlo proprio all’interno di un teatro del centro storico di Napoli e non in occasione di un Festival internazionale.
L’approccio dell’autore e attore, Claudio Ascoli, colui che ha fondato Chille de la Balanza insieme a Sissi Abbondanza, è inusuale: lo incontriamo nel foyer, all’ingresso del teatro, saluta i vecchi amici, dialoga con l’addetta al botteghino, con gli spettatori. Alla fine dello spettacolo è ancora in scena, conversiamo, dialoghiamo, mi consegna un regalo, una stampa di un bozzetto disegnato dal padre.
Non siamo abituati al confronto tra attori e spettatori, ma soprattutto al dialogo alla pari, perché non basta osservare uno spettacolo per parlane, ma bisogna documentarsi, condividere, confrontarsi e, spesso, questo purtroppo non avviene.
La curiosità emersa dopo la lettura dei due volumi ha innescato la voglia di vedere dal vivo la compagnia, sebbene rimanga la curiosità di partecipare, in futuro, agli eventi che si svolgono a San Salvi.
Il secondo volume, pubblicato nel 2020, è dedicato, appunto, allo spettacolo Napule ’70, al lavoro dietro le quinte, al progetto, al ritorno e alla ripartenza.
Il settanta è un numero importante, poiché rappresenta il decennio in cui si aveva voglia di costruire e di fuggire, ma indica anche gli anni compiuti da Dario Ascoli e da Sissi Abbondanza.
Lo spettacolo è costruito attraverso simboli, visivi e verbali, si sofferma su ricordi e soprattutto su un tema, in particolare, che ritorna incessantemente: l’esilio volontario. Definizione ossimorica, potremmo dire, ma anche l’esilio di questa compagnia è stato apparentemente volontario, poiché la condizione di Napoli, il terremoto dell’Ottanta e varie vicissitudini abbiano spinto questi artisti verso altri lidi.
La protagonista è sicuramente Napoli, che affiora all’interno dello spettacolo sotto vari aspetti.
Mai realmente campanilistica, anzi dissacratoria, la messinscena è fortemente frammentaria, costruita su flashback, su ricordi di famiglia teatrale, su affermazioni, osservazioni, punti di vista e prospettive future. È evidente e sottintesa una formazione legata al teatro di strada o al teatro che si rivolge alle masse, perché le parole che si ascoltano durante alcuni momenti sono quelle dell’intervistato, Dario Ascoli appunto, e dell’intervistatore, in voce off; il resto dello spettacolo è costruito soprattutto attraverso oggetti, simboli ed immagini.
 Ci ritroviamo immersi in una profonda riflessione sulla società, non solo quella napoletana degli anni Settanta, ma sul mondo intero, partendo dalle nostre origini, siano esse i panni stesi, la tavola imbandita davanti alle cozze, le canzoni della tradizione o il baule dei ricordi di famiglia, per arrivare fino alla contemporaneità.
La malattia è posta al centro, citando il famoso colera a Napoli, che attaccava la pancia, e oggi il Covid-19 che attacca il respiro: Ascoli riflette sul concetto di malattia, non solo intesa come problema fisico, ma come deformazione civile, etica, politica, poiché l’arte e il teatro, così come ritengono ancora alcune compagnie, sono concetti inscindibili dal rapporto con la società e con la politica che governa le masse.
L’intera messinscena si serve di piccoli elementi, di oggetti comuni, coinvolgendo, come di solito, il pubblico: due spettatori vengono chiamati in scena, mascherine comprese, attraverso l’estrazione di numeri precedentemente consegnati all’ingresso. Sissi Abbondanza stende delle lenzuola bianche che serviranno poi da quinte e da fondo per le proiezioni. Poi chiama i numeri: gli spettatori si accomoderanno, mangeranno dal vivo cozze fumanti, aiuteranno a smontare la tavola imbandita. Poi Ascoli parlerà di colera: immaginate il contrasto violento che si attiva nella mente degli spettatori, sia i prescelti che quelli rimasti in platea, dopo aver assaporato le cozze. È necessario, dunque, stimolare fisicamente e psicologicamente il pubblico.
La messinscena è costruita attraverso semplici ingressi laterali, una scena spoglia, un fondale creato attraverso le lenzuola, un piccolo teatrino delle guarattelle: anche questo momento di “teatro nel teatro” sembra ritornare al passato, ma i personaggi dello spettacolino, manovrati da Sissi Abbondanza e dallo stesso Dario Ascoli, si soffermano ironicamente, ancora una volta, sul lavoro, sulle differenze sociali, sulla differenza tra servi e padroni, recuperando un discorso che Dario Ascoli portava in giro per le piazze 40 anni fa.
Anche le proiezioni ci trasferiscono improvvisamente nel 1976, quando Berlinguer parlò ad una folla oceanica, durante la Festa dell’Unità organizzata presso la Mostra d’Oltremare di Napoli: parole di grande speranza e di fiducia nei confronti della cultura napoletana e rivolte ai giovani della città, proiettate in scena sulle lenzuola stese, attraverso immagini d’archivio che colpiscono soprattutto quegli spettatori non ancora nati durante quel decennio e, forse, accendono gli animi di coloro che erano presenti. È possibile che a Napoli accadesse tutto questo? Anche queste immagini rappresentano un fortissimo contrasto con le speranze mai sopite, ma deluse, che sostennero e motivarono l’esilio volontario di questa compagnia e il suo ritorno periodico, quasi per sbirciare se qualcosa sia cambiato, e poi ripartire.
Dario Ascoli, durante un momento della messinscena, indossa il costume di Pulcinella, maschera che indossava per lo spettacolo “Uè, Pulecené?!” del 1975, punto di riferimento e di partenza di quelle speranze e di quell’aspirazione alla fattività.
In scena viene introdotta una bara e comprendiamo bene quale simbolo rappresenti: la bara si squarcia al solo tocco della mano e all’interno è azzurra, colore simbolo della città di Napoli, della squadra, del cielo e della libertà. Dario Ascoli tiene in mano la maschera di Pulcinella, che ha tolto dal viso, che ha poggiato sulla bara, ma che ancora sopravvive.
In particolare, è bene sottolineare il rapporto atavico che questa città ha con la morte, reale e simbolica, ed è per questo che la compagnia decide di caratterizzare questi momenti con i versi di due intense poesie recitate dallo stesso Ascoli: “Testamento” di Edoardo Nicolardi e “Si muresse” dello stesso Ascoli.
I fuochi d’artificio che concludono un anno, una vita, un viaggio, caratterizzano la parte finale di questo spettacolo, in cui non può mancare il riferimento a Itaca, quel desiderare di tornare per tutta la vita, per poi ripartire con lo stesso intento.

NAPULE ’70
Teatro Stabile di Innovazione Galleria Toledo – Napoli
8-10 ottobre 2021

Chille de la balanza
NAPULE ‘70
di e con Claudio Ascoli
e con la partecipazione di Sissi Abbondanza
voci Antonia Cerullo, Bartolo Incoronato, Sissi Abbondanza, Matteo Pecorini
musiche Dario Ascoli, Alessio Rinaldi
scene e costumi Sissi Abbondanza, Paolo Lauri
disegno luci Renato Esposito
video Dario Trovato
suoni e video mapping Matteo Pecorini
elaborazione musiche, suoni e voci Gabriele Ramazzotti
luci Teresa Palminiello
suono Francesco Lascialfari

foto di scena Paolo Lauri