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Due uomini, accomunati dalla frequenza allo stesso liceo diversi decenni addietro, si risvegliano nello stesso letto nella ricca casa di uno dei due. Le mani sporche di carbone, una ciocca di capelli biondi, una incredibile ubriacatura la notte prima, alla festa degli ex studenti del liceo. Nasce una serie di equivoci, dalla lettura di un giornale vecchio di anni al fraintendimento delle parole di un cugino in visita fino al tentato duplice omicidio che non si verifica per una pura fatalità. Sono gli efferati assassini di una carbonaia trovata brutalizzata nella sua bottega? Ne sono convinti, almeno loro due. E’ “Il delitto di via dell’Orsina”, pièce comica di Eugène Labiche profondamente riscritta da Andrée Ruth Shammah, in scena al Teatro Franco Parenti di Milano (via Pier Lombardo, 14) fino al 23 dicembre. Il testo originale, poco frequentato sui nostri palcoscenici, è il classico vaudeville alla francese tanto in voga nell’Ottocento. Tra parti in prosa e intarsi cantati, una trama essenziale di equivoci, scambi di

persona, parole fraintese e calembours dà vita a quel teatro comico leggero che ha fatto furore a quel dì, ma che oggi pare dimenticato. La riscrittura della Shammah lascia quella patina d’antan che è sempre affascinante ma innesta la vicenda in un’epoca diversa, prima della seconda Guerra, in Italia, nel confronto tra borghesia e nobiltà decadente.
Una storia leggera, certamente, ma ben congeniata per riflettere svariate questioni: fin dove saremmo disposti a spingerci per tutelare il nostro onore? Tra una cantatina e un gioco di parole, l’amara verità è che l’ombra dell’animo umano potrebbe spingerci al male più nero. Ma fortunatamente siamo in un vaudeville, quindi il bene trionfa sempre grazie al caso e una grande risata risolve tutto.
Molto pregevole l’operazione culturale della Shammah, che sa ridare vita a un genere poco presente a teatro, attuando quella sorta di traduzione artistica che ha reso questo testo, decisamente figlio della propria epoca, un divertente gioiellino dei nostri giorni.
Il cast d’eccezione, Massimo Dapporto, Antonello Fassari e Antonio Cornacchione, contribuiscono a rendere valida l’operazione: il grande teatro si fa anche con testi leggeri se la scrittura è efficace e l’interpretazione ne è degna. Il carattere recitativo e la complicità sul palcoscenico degli attori fanno la differenza, mentre flauto, clarinetto e pianoforte dal vivo arricchiscono di una nota di varietà che non guasta. Interessante.

Foto Francesco Imbriani