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Gabriele Di Luca, sa cosa voglia dire scrivere avendo in mente il ritmo e il senso scenico, sa mantenere in piedi l’interesse e l’attenzione dello spettatore anche per un periodo lungo. Due ore di miracoli, una commedia in cui si ride sull’essenza della vita mantenendo vivo l’obiettivo: raccontare la verità. Perché il teatro è il luogo in cui si affronta la verità, la si guarda in faccia e si raccontano anche i suoi molteplici aspetti. I temi in gioco sono diversi: il nostro rapporto con il cibo, gli sprechi alimentari, il nostro rapporto con i paesi più poveri, con i migranti, con la povertà, il vuoto che spesso avvolge l’esistenza. La vicenda si svolga all’interno di uno scantinato, o una ex carrozzeria, i proprietari di un ristorante alla deriva, per non fallire decidono di riciclarsi in un servizio di consegna a domicilio

specializzato in cibo per intolleranti alimentari. Un fenomeno molto comune, che spesso nasconde truffe, un nuovo e potente mercato di consumo e di sfruttamento. Lo spettacolo,  co-prodotto da Marche Teatro, Teatro Elfo Puccini di Milano, Teatro Bellini di Napoli e Teatro Nazionale di Genova, è un testo che Gabriele Di Luca  ha iniziato a scrivere prima dell'emergenza sanitaria, (profetico, direi, come ogni scrittura che nasce da una vera urgenza) immaginando una società chiusa in casa: “la disoccupazione tocca il 62%, le attività commerciali falliscono quotidianamente a causa di una città completamente bloccata per un’improvvisa esplosione delle fogne, simbolo di un pianeta che si rivolta all'uomo per ribellarsi a decenni di abusi ambientali”. La drammaturgia scorre come un fiume in piena, diversi finali si avvicendano, uno dietro l’altro: quello beneagurante di una nascita o di una fuga, quello tragico di una morte annunciata, fino a quello catartico conclusivo quasi cinematografico. La regia collettiva di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi, immerge lo spettatore in una scena postmoderna, frammentata, destrutturata, con brevi flash su una camera da letto composta solo da un letto matrimoniale e un televisore la vita intima perde importanza perché tutto è apparire, social, finto. Ogni personaggio vive fra sogni e desideri traditi, fra realtà vissuta e realtà immaginata, soffocato dall’emergenza interiore di realizzare sé stesso e di non farsi imprigionare dal lockdown dell’anima che ci fa perdere ogni immaginazione di un futuro migliore. Sette figure, ingabbiati all’interno della scena: Plinio (Federico Vanni), lo chef stellato, frustrato e deluso, la compagna (Beatrice Schiros), aspirante influencer, la madre (Daniela Piperno), ex hippy  e bombarola, il figlio della proprietaria (Federico Gatti), dipendente dai videogiochi, Hope (Ambra Chiarello), la lavapiatti immigrata dall’Etiopia, Mosquito (Pier Luigi Pasino), il rider galeotto con il sogno di sfondare al cinema e infine Cesare (Massimiliano Setti), il professore aspirante suicida che entra a far parte del gruppo per una telefonata sbagliata. Hanno tutti qualcosa in comune, hanno perso l’amore e non sanno né dove, né come cercarlo, vivono di intermittenze dell’anima, come la corrente che salta continuamente, hanno perso la loro energia interiore e la cercano fuori. Tutti gli interpreti bravissimi nei tempi teatrali e nella modulazione della voce, una compagnia che non delude mai e che cresce in professionalità e profondità. Facciamoci un regalo per Natale andiamo a vedere o rivedere questo spettacolo, quando si vede uno spettacolo favoloso come questo, nel senso letterario del termine, si torna bambini e si ricomincia a credere nelle favole, qualcosa che vale la pena di salvare, se si cerca, si trova sempre.
Milano, Elfo Puccini 19 dicembre 2021