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Non è solo o tanto nella scelta degli spettacoli che ci sembra di percepire la visione di rinnovamento del nuovo sovraintendente del lirico teatro Carlo Felice di Genova, Claudio Orazi, quanto soprattutto nella capacità di selezionare singole scelte che sappiano andare oltre la tradizione e la sua talvolta piatta riproposizione, per intercettare e rintracciare all'interno degli spettacoli fermenti e suggestioni innovative, poco frequentate talvolta e anche, se vogliamo, più in sintonia (si tratta pur sempre di opere musicali) con le tonalità dell'oggi. Succede anche con questa edizione della celeberrima operetta di Franz Lehar, il cui plot è a tutti noto, a chiusura di una prima parte della stagione, inaugurata e proseguita sotto quel segno e quella suggestione, nella nuova traduzione e rinnovato adattamento drammaturgico di Luca Micheletti che, completando così con la sua impronta artistica l'intera messa in scena, ne è anche il regista e, nel ruolo baritonale del Conte Danilowitsch, il co-protagonista. Un allestimento che in questo rivela ed enfatizza un impianto e una struttura drammatica robusta,  altre volte un po' nascosta in una attenzione prevalente alla sovrastruttura musicale forte della sua

efficacia melodica e della sua limpida ritmica, una sintassi che nel suo svilupparsi in scena richiama la brillante commedia degli equivoci di Georges Feydeau, ad esempio, ed è capace di sostenere con coerenza una narrazione che inevitabilmente si rifà alle suggestioni della “Belle Èpoque”, ovvero alla 'felicità' di un mondo in decadenza.
È in relazione soprattutto a questo che si manifesta la lettura originale che ci restituisce Luca Micheletti, non per niente ultimo esponente di una lunga storia di teatro popolare, dalla famiglia Micheletti-Zampieri alla Compagnia “I Guitti” di cui è regista stabile, una lettura che privilegia gli accenti melanconici e anche più cupi che traspaiono sotto quella apparentemente inesauribile allegria, quasi cercata con insistenza fino alla comicità da fool, accenni e suggestioni che, forse inconsapevoli, anticipavano allora e predicevano una tragedia prossima ventura, quella della Grande Guerra che tutto avrebbe cambiato.
Più che le frizzanti accelerazioni della tradizione, soprattutto francese, una più consapevole lentezza che anticipa in un certo senso la nostalgia di un epoca che si vorrebbe immobile ma ormai corre verso la fine. Più viennese, potremmo dire, che francese, anche nella scena finale del cafè chantant di Chez Maxim, la Vienna di Klimt, sotto le cui dorature traspaiono corpi decadenti, e quella di Musil, con l'identità che si disperde, o anche quella delle ansie e dei dolori nascosti di Freud.
Questa messa in scena recupera così i suoi più profondi referenti di inizio novecento, per tentare di darci conto dell'oggi, con le sue similitudini e le sue diverse precipitazioni.
Tante suggestioni, tra parola drammatica e canto, tra racconto e slancio lirico, e tra queste mi sembra coerente citare un altro grande protagonista di quella delicata e anche dolente temperie di inizio secolo: Marcel Proust.
Scrive Pietro Citati nella biografia “La colomba pugnalata”, a proposito di Reynaldo Hahn, musicista e cantante amico dello scrittore: “Reynaldo Hahn – scriveva Proust qualche anno dopo – <<stringeva tutti i cuori, inumidiva tutti i cuori, nel brivido di ammirazione che propagava in lontananza e ci faceva tremare, ci curvava tutti l'uno dopo l'altro, in un silenzioso e solenne ondeggiamento di messi, sotto il vento>>. Oppure cantava e suonava, da solo, un'operetta intera...Il canto portava alla luce la tristezza soffocata del cuore troppo sobrio di Reynaldo Hahn.”
Una revisione dunque che, a mio parere, va oltre e supera le incrostazioni da melò holliwoodiano che nella modernità hanno forse sovrastato lo spirito profondo di questa drammaturgia in musica, per ritornare ad una sua lettura più intelligente e profonda.
Ma non solo la recitazione e la parola, anche il canto trova una coerenza maggiore nella qualità notevoli delle voci di tutto il cast a partire dallo stesso Micheletti e dalla sua co-protagonista Elisa Balbo (che tra l'altro ha collaborato a questa nuova versione ritmica) nel ruolo di Hanna Glawari. Impeccabili l'orchesta e il coro del Carlo Felice sotto la direzione del maestro concertatore Asher Fisch.
Un discorso a sé meritano infine le scenografie di Leila Fteita, che ha creato anche gli eleganti costumi. Dominano le macchine di scena che, quasi a sottolineare i singoli passaggi narrativi, modificano con levità lo spazio e sostengono i movimenti e le coregrafie.
Sontuoso, così potremmo definire con termine che rare volte abbiamo occasione di usare l'allestimento di quest'anno che finalmente e felicemente dà modo al teatro lirico genovese di mostrare la sua qualità e la professionalità dei tanti suoi componenti.

LA VEDOVA ALLEGRA. Operetta in tre parti di Franz Lehár
Libretto di Victor Léon e Leo Stein, dalla commedia “L’Attaché d’ambassade” di Henri Meilhac. Nuovo Allestimento del Teatro Carlo Felice. Prima assoluta della nuova traduzione italiana e adattamento drammaturgico di Luca Micheletti. Versione ritmica realizzata in collaborazione con Elisa Balbo
Personaggi e interpreti: Hanna Glawari Elisa Balbo, Conte Danilo Danilowitsch Luca Micheletti,
Valencienne Francesca Benitez, Camille de Rossillon Pietro Adaíni, Barone Mirko Zeta Filippo Morace, Njegus Ciro Masella, Visconte de Cascada Claudio Ottino, Raoul de St. Brioche Manuel Pierattelli, Kromow Giuseppe Palasciano, Olga Maria Grazia Stante, Bogdanowitsch Luigi Maria Barilone, Sylviane Kamelia Kader, Pritschitsch Alessandro Busi, Praskowia Letizia Bertoldi, Maître Chez Maxim Valter Schiavone, Zozo Federica Sardella.
Les Grisettes: Michela Delle Chiaie, Ginevra Grossi, Erika Mariniello, Marta Melchiorre, Matilde Pellegri, Monica Ruggeri. Danzatori: Cristian Catto, Giovanni Enani Di Tizio, Tiziano Edini, Robert Ediogu, Matteo Francia, Samuel Moretti, Andrea Spata.
Maestro concertatore e Direttore Asher Fisch. Regia Luca Micheletti. Scene e Costumi Leila Fteita
Coreografo Fabrizio Angelini. Progetto Luci Luciano Novelli. Luci realizzate da Fabrizio Ballini
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Carlo Felice. Maestro del Coro Francesco Aliberti.
Direttore musicale di palcoscenico Giorgio Bruzzone, direttore allestimenti scenici Luciano Novelli, direttore di scena Alessandro Pastorino, vice direttore di scena Giorgio Agostini, maestri di sala Sirio Restani, Antonella Poli, altro maestro del coro Patrizia Priarone, maestri di palcoscenico Andrea Gastaldo, Anna Maria Pascarella, maestro alle luci Dina Pysarenko, responsabile movimentazione consolle Andrea Musenich, caporeparto macchinisti Gianni Cois, caporeparto elettricisti Angelo Pittaluga, caporeparto attrezzisti Tiziano Baradel, caporeparto audiovideo Valter Ivaldi, caporeparto sartoria, calzoleria, trucco e parrucche Elena Pirino. Assistenti alla regia Francesco Martucci, Luigi Maria Barilone, assistente a scene e costumi Laura Galmarini, assistente alla coreografia Marta Melchiorre, coordinatore trucco Raul Ivaldi, scene Laboratorio Leonardo, attrezzeria E.Rancati e Teatro Carlo Felice, costumi Compagnia Italiana della Moda e del Costume e Repertorio del Teatro Carlo Felice, calzature Epoca, parrucche Mario Audello (Torino), soprattitoli Prescott Studio.
In prima assoluta al teatro Carlo Felice di Genova il 30 dicembre. Sala piena, applausi a scena aperta e molte chiamate. Repliche, anche con secondo cast, il 31 dicembre e l'1, 2 e 5 gennaio.