Visite: 1293

È uno dei primi testi di Peter Handke, scritto nel 1966, e in quanto tale è implicato in quello sperimentalismo, linguistico e drammaturgico, che ha convinto molti critici e studiosi ad accostare il suo operare alla neo-avanguardia italiana del Gruppo 63 ed in particolare, per la sovrapposizione di ideologia e linguaggio, all'opera di Edoardo Sanguineti. Il linguaggio in Handke, quello teatrale in particolare, è dunque non tanto uno strumento di indagine, psicologica, politica ovvero sociale, ma piuttosto è un meccanismo del giudizio sull'uomo e sulla condizione umana, la cui manipolazione, destrutturazione e ricomposizione sintattica determina un mutamento ed un rinnovamento. Ha dunque una finalità che ci appare quella di recuperare una verità essenziale, autentica e irriducibile

dell'umano che la Storia deformata nella sua concezione borghese ha man mano represso e occultato. “Autodiffamazione” è così una sorta di enciclopedico recuperare e catalogare i modi con cui l'uomo linguisticamente si definisce, oltre ogni barriera di contesto, passando dal basso all'alto, dal carnale al mistico, dal popolare al metafisico, guidati dalla lampada non ancora spenta di una idea dell'essere che non rifiuta la filosofia, ma al contrario la recupera e la riutilizza nel suo più efficace agire. È un catalogare provocatoriamente in negativo, come suggerisce il titolo, ma che come in uno specchio, o una pellicola sviluppata in scena, si ribalta nel suo opposto.
La compagnia italo-tedesca Barletti/Wass ripropone questa drammaturgia mostrando di aver colto il senso profondo di quell'elencare, di quel trarre e repertoriare dal tessuto del discorso umano man mano decantato e disperso (il reiterare elencando era anche uno dei 'modi' della scrittura di Edoardo Sanguineti), mai fine a se stesso ma esteticamente impegnato a intercettare, filtrare e liberare, se esiste, un senso autentico al nostro esserci nel mondo.
Non solo, dunque, l'angoscia di una deiezione nella realtà e nel flusso del tempo che appare insensata, ma anche il coraggio di ritrovare in tutta quella insensatezza il 'sentiero interrotto' di una qualche verità che ci riguardi.
Oltre l'afasia, per rintracciare una parola antica, un io da recuperare e da mettere a disposizione dell'altro che ci sta di fronte o a fianco, fino alla commozione che muove le lacrime nell'indicare una affettività e una relazionabilità possibile.
Un doppio registro e un doppio percorso, una peripezia che esce e ritorna, che Barletti e Wass esplicitano nell'uso della doppia lingua, italiano con sopratitoli in tedesco per la prima e tedesco con sovratitoli in italiano per il secondo, che non è semplice escamotage ma consapevole creazione di una prospettiva, di un orizzonte che da linguistico si fa prima estetico e poi quasi metafisico nelle suggestioni che una lingua sconosciuta evoca al suo solo suonare.
È poi lo stesso processo di transito scenico, da una nudità che ricorda il nulla di un perduto Eden, alla progressiva vestizione dei panni di una storia che ci fa e modifica attimo dopo attimo, a ricostruire nell'evidenza del palcoscenico il manifestarsi di una ricerca che non ha fine, ma, in fondo, neanche inizio.
Solo due sedie per scenografia, è uno spettacolo che in un certo qual modo non dà tregua, penetra e ti circonda e diventa un interrogarsi e un interrogarti diretto come pochi altri.
In proposito vorrei citare quanto riferì a suo tempo (ma mi sembra ancora molto attuale) Hermann Dorowin in un suo studio su Handke e l'Italia, con il suo sistema chiuso e autoreferente: <<Forse l'unica soluzione per forzare le muraglie dell'indifferenza è di creare dei gruppi di commandos ben equipaggiati (cioè dotati di testi moderni e mordenti, e di uno stimolante modo di interpretarli); chissà che questi commandos non riescano anche a scardinare, un giorno o l'altro, le fila dell'agguerrito teatro “ufficiale”>>.
Questo spettacolo mi è apparso un esempio calzante: un testo di grande valore, che ha più di cinquant'anni ma è ancora intrinsecamente rivoluzionario, e due bravissimi interpreti, Lea Barletti e Werner Wass che si dimostrano capaci di interpretare in profondità e quasi fisicamente il testo, per un'ora di vero teatro. Un testo che dimostra quanto il linguaggio, che ora tende ad una progressiva e infelice omologazione, possa e debba essere, lato sensu, rivoluzionario.
Di Peter Handke. Progetto e regia Lea Barletti / Werner Waas, con Lea Barletti, Werner Waas. Musica Harald Wissler. Distribuzione per l´Italia: PAV – Autodiffamazione
Al Luzzati Lab del Teatro della Tosse di Genova, il 4 marzo. Un successo.